Aprilia Rugby: l’intervista al direttore tecnico Riccardo Adorno.
L’Aprilia Rugby lancia la rubrica” A TUXTU CON..” in cui verranno intervistati tutti i protagonisti tra staff e sostenitori del Club.
“A TUXTU CON…” è la nuova rubrica dell’Aprilia Rugby che vedrà di volta in volta interessati Dirigenti, tecnici, atleti e sostenitori del Club. Perché questa nuova rubrica? Perché dalle parole degli intervistati potrete avere un punto di vista di volta in volta diverso sulla vita del Club.
La prima intervista è stata fatta a Riccardo Adorno Direttore Tecnico e co-coach della nostra Under 16.
D: Buongiorno Riccardo e ben trovato. Hai la fortuna di essere il primo ad aprire questa nostra serie di interviste. Come già sai la rubrica si chiama “A TUXTU CON…” e vuole essere uno strumento per trattare determinate tematiche con alcuni dei nostri elementi cardine all’interno del Club. Iniziamo subito con una piccola presentazione: veterano dei nostri tecnici, praticamente da sempre coach della nostra Under 14 fino alla scorsa stagione e da questa stagione Direttore Tecnico. Ma come inizia la tua storia nel rugby?
R: Buongiorno a tutti e grazie per l’intervista. Il mio cammino nel mondo del rugby inizia quasi per caso ovvero come genitore che accompagna il figlio agli allenamenti poi, assistendo dal bordo del campo ti appassioni, vedi che poteva servire una mano in campo e, avendo alle spalle un trascorso in pallavolo a livello regionale, ho deciso di intraprendere questo percorso tecnico iniziando con il livello tecnico di animatore regionale e lavorando per qualche anno in quelle che allora erano categorie dispare fino all’Under 13 che sarebbe poi diventata l’attuale Under 14. A seguito di questo passaggio ho conseguito il 1° Livello (
oggi 2° Livello Tecnico NDR) e da allora ho mantenuto ed aggiornato questo livello studiando e seguendo i corsi proposti dalla federazione.
D: Dopo tanti anni come vivi la tua esperienza da coach?
R: Vivo questa esperienza pienamente cercando di rimanere sempre informato ed aggiornato, guardando partite e frequentando corsi e, comunque,
oggi giorno con internet tutto è più semplice come riuscire a vedere come lavorano gli altri e trovare un confronto per poi cercare di esprimere al massimo quello che è il mio ruolo di coach. Questo significa avere un buon rapporto con i ragazzi, essere pronto ad adattarmi alle situazioni che si vengono a creare. Nella mia metodologia preferisco lavorare in base alle esperienze dei ragazzi adattandomi al loro grado di preparazione e non viceversa cercando di portarli il più in alto possibile.
D: Come già anticipato questa stagione ti vede protagonista con una duplice funzione: quella di coach e quella di Direttore Tecnico. Come svolgi il ruolo da D.T. in qualità di facilitatore dell’apprendimento?
R: Come Direttore Tecnico è per me la prima esperienza quindi la sto vivendo come una nuova sfida. E’ senza dubbio un ruolo complicato nel senso che come tutti io ho le mie idee, vedo il rugby in una certa maniera e quindi rapportarsi con gli altri allenatori ed educatori non è semplice. Cerco costantemente di stimolarli per farli crescere spingendoli a pensare, a documentarsi, a svolgere un lavoro con i ragazzi non solo a livello tecnico ma anche a livello psicologico. La base di tutto deve essere lo spirito di gruppo elemento fondamentale perché da questo nasce il concetto di sostegno tra loro e questi due elementi unendosi alla disciplina ed al rispetto delle regole fanno il rugby. Ovviamente nel confronto con i tecnici emergono tante differenze dettate dal carattere, dall’esperienza e dalla conoscenza. Ti può capitare di confrontarti con chi ha più capacità e quindi tecnicamente più evoluto con cui ti relazioni, ti confronti e ti esprimi in un modo ed altre che magari allenano da poco tempo, con cui ti relazioni, ti confronti e ti esprimi in un altro modo perché cambiano le esigenze portandoti a dover assolvere a figure diverse, ora di coaching, ora di mentoring oppure di tutoring il tutto per poter far crescere più velocemente il soggetto con cui mi relaziono sia esso un atleta, un tecnico esperto o un tecnico alle prime armi.
D: Inevitabilmente non possiamo non parlare di COvid-19. Come sta influenzando questo virus il rugby
oggi?
R: Il rugby, così come tutti gli altri sport, stanno soffrendo la convivenza con questo virus con limitazioni fin troppo grandi. In particolare per noi che pratichiamo uno sport in cui il contatto fisico è gran parte del nostro gioco e del nostro lavoro sul campo. Il rispetto delle limitazioni imposte unite al rispetto dei protocolli ci hanno portando a sviluppare idee, esercizi e giochi che in tempi di normalità avremmo tralasciato o, comunque, che avremmo fatto in modo più blando. Ha senza dubbio influenzato noi allenatori portandoci a ricercare ancora di più i giusti stimoli, quelli più appropriati per i ragazzi per poter continuare a tenerli sul campo e farli divertire, farli comunque restare interessati il tutto cercando di non rendere queste attività fine a se stesse ma che comunque possano lasciare loro qualcosa che possano ritrovare in futuro quando potremo riprendere a fare rugby.
D: In ultimo vorrei chiederti: per superare al meglio questo periodo, cosa diresti a genitori e ragazzi che non praticano rugby, o sport più in generale?
R: Ai ragazzi ed ai genitori posso dire che fare sport è la cosa più importante. Da genitori dobbiamo stimolare i ragazzi ad uscire di casa per fare una qualunque attività sportiva perché questa darà loro una formazione a livello caratteriale e umano per avere dei ragazzi e ragazze responsabili delle loro azioni quando un
domani diventeranno uomini e donne maturi. Purtroppo
oggi mancano i giochi di strada quelli che una volta erano la normalità; non si vedono più ragazzi giocare nei giardini o nei parchi, non c’è più il gioco come lo era una volta per noi ovvero un modo per confrontarsi nel rispetto delle regole. I ragazzi di
oggi ormai hanno tutto “pronto” e dobbiamo cercare di separali da tutto questo per un loro benessere psichico, fisico e morale. Infine un altro consiglio da dare ai genitori è quello non solo di far fare loro sport, ma non imponendo loro una disciplina lasciandoli scegliere secondo le loro attitudini perché far fare loro qualcosa che non gli piace è completamente inutile se non addirittura controproducente.