In un periodo di assolute ristrettezze finanziarie, anche il Sistema Sanitario Nazionale sembra inevitabilmente risentire del momento. A tale proposito abbiamo intervistato il Direttore Generale del Distretto 1, il Dott. Belardino Rossi che gentilmente ringraziamo per la cortese disponibilità ed a cui sono state poste delle domande inerenti all’argomento.
Inizialmente si è deciso di concentrarsi sulla presenza di strutture pubbliche sul territorio apriliano.
“Giacché non abbiamo un ospedale completamente convenzionato con il sistema sanitario nazionale. L’eventuale ed ipotetica casa della salute potrebbe sopperire a questa carenza?”
“La risposta comporta delle premesse; è di fatti necessario riflettere sul concetto di ospedale moderno o casa di cura accreditata, che dir si voglia. Tale tipo di struttura è di fatti plasmato per sopperire a cure urgenti e a degenze medico-chirurgiche. Anche al di fuori della realtà ospedaliera è possibile trovare ottima qualità di cure e buona presenza numerica di personale. Con queste premesse in questo territorio si può fare quasi tutto, dalla cura al trattamento di patologie croniche fino ad arrivare alla prevenzione. Alcune prestazioni mediche, come ad esempio la rimozione della cataratta, possono essere espletate in ambito ambulatoriale senza ricorrere necessariamente alla lungodegenza, con la qualità dei risultati inalterata. Il ruolo della casa della salute è quello di creare una realtà che non sia concentrata solo sulla presenza massiccia di personale, ma che sia deputata per la cura delle malattie croniche presenti sul territorio. Quest’ultime infatti molto spesso sono dovute alla riacutizzazione dei sintomi che le caratterizzano, comportando probabili ricoveri in ambiente ospedaliero. Che potrebbero essere ridotti proprio grazie all’azione costante dei medici delle case della salute, i quali andrebbero a lavorare con un’azione mirata evitando ricadute”.
“In cosa consiste il piano di rientro?”
“Premetto che non sono un tecnico di questa cosa. Le regioni devono comunque garantire uno standard minimo di assistenza tramite dei parametri che sono i famosi LEA(livelli essenziali di assistenza). Le regioni che non sono riuscite in passato ad attenersi a questo si sono indebitate. Lo Stato colloca una serie di fondi che variano e che devono essere rispettate dalle regioni, a seconda di quelle che sono le loro esigenze. A maggior ragione una regione commissariata dipende ancora molto di più delle altre dallo Stato. Questo comporta una serie di limiti rigidi.
“Visto e considerato le lunghe liste di attesa per le visite specialistiche, come si potrebbe ovviare a questo problema?”
“La risposta è assai complessa. Bisogna vedere se i parametri ottimali per una sufficiente copertura sanitaria possano fare a meno del sistema della lista di attesa. Per diagnosticare una malattia cronica come la neoplasia vengono utilizzate più macchinari che richiedono un dispendio, diversamente da quanto accadeva in precedenza. Il quadro dei costi quindi cambia a seconda della diagnostica. Molto spesso può accadere che esami particolarmente esosi non siano del tutto utili nell’ambito della risoluzione dei problemi clinici. Dare la croce ai medici di medicina generale come decisori di spesa non è del tutto corretto. Educare anche i cittadini a quella che è una saggia richiesta della spesa sanitaria”.
“Qualora ci fosse bisogno di fondi, visto il periodo storico di crisi che si ripercuote inevitabilmente su sistema sanitario nazionale, sareste voi disposti ad accettare fondi privati per migliorare l’efficienza?”
“I fondi privati li accettiamo, con l’ovvietà per gli stessi di essere finalizzati al bene pubblico, senza lucro alcuno. Il sistema pubblico è sempre e comunque l’ideale, perchè il privato tende a voler avere logicamente una sua forma di profitto.
“Sono previsti screening di prevenzione, magari in ambito tiroideo ad esempio anche in ambito delle colonpatie?”
“Il concetto di prevenzione è difficile da definire. Lo scopo primario sarebbe quello di individuare eventuali malattie in uno stato primario in maniera tale da poter risolvere il problema a poco danno per il paziente ed a poco costo per la collettività. Ma ci sono anche casi in cui sottoporre la popolazione ad uno screening di massa potrebbe essere inutile, in quanto in realtà la malattia verrebbe vista già tardi, con una certa difficoltà nell’impostazione della terapia. Un esempio concreto per meglio comprendere il concetto è quello delle radiografie al torace: di fatti non solo, in questo caso, si sottoporrebbero i pazienti ad un bombardamento di raggi, ma anche la scoperta della supposta malattia avverrebbe con tempistiche cronologiche non sempre perfette. Lo screening è limitato a quelle malattie che sono molto presenti nella popolazione con un risultato accettabile per la prevenzione e la cura della malattia. Sono diffusi ad un livello nazionale sono tre tipi di screening che sono quelli del colon-retto, per la prevenzione al tumore della mammella e del pap test. Questi sono gli screening che potrebbe aver senso fare. Altri non avrebbe senso farli in termini di costi che sono relativamente alti, ad esempio quello della tiroide, una patologia che colpisce solo una parte della popolazione, e che se individuata prima o dopo, non comporterebbe rischi gravi per la salute del paziente. Questo perchè abbiamo risorse limitate. Quello sulle colonpatie è uno screening previsto dalla normativa, è utile per l’individuazione di patologie, ma nella zona di Aprilia ci sono stati dei problemi in termini di risorse. Spero che entro un mese riusciremo a offrire delle risposte”.
L’impatto che si evince è dunque quello orientato verso una corretta educazione e consapevolezza della malattia, oltre che ad una collaborazione sinergica fra tutte le parti in causa.
Melania Orazi