Piano casa, volano dell’economia o danno per le generazioni future?
La crisi finanziaria globale ha avuto, almeno negli Stati Uniti, origini strettamente legate proprio allo sviluppo immobiliare.
Il “Piano casa”, come è noto, è un intervento che si propone il “rilancio dell’economia” con l’intento di “rispondere anche ai bisogni abitativi delle famiglie” introducendo “incisive misure di semplificazioni procedurali dell’attività edilizia”.
Nell’attuare di queste finalità, l’intesa Stato-Regione-Enti Locali si è attestata sui contenuti seguenti:
a) interventi di ampliamento della volumetria esistente, entro limiti definiti, ai fini di migliorare “la qualità architettonica e/o energetica degli edifici”;
b) consentire interventi straordinari di “demolizione e ricostruzione di edifici residenziali con ampliamento sino al 35%”: anche qui con finalità “di miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica e dell’uso di fonti energetiche rinnovabili ”;
c) introdurre forme semplificate di procedure per snellire gli interminabili ed onerosissimi iter burocratici oggi di prassi per qualsiasi intervento a carattere edilizio.
Questa disciplina straordinaria avrà durata non superiore a 18 mesi dall’entrata in vigore delle leggi regionali.
Il principio sotteso (anche se non esplicitamente dichiarato) è quello che l’attuazione del “piano-casa” avrebbe una capacità di trascinamento sull’economia complessiva.
Capacità che, a ben vedere, lascia qualche perplessità se messa in relazione con il carattere dei recenti interventi immobiliari nel nostro paese, basati su una crescente aggressività speculativa, senza alcun rispetto non diremo per le esigenze sociali, ma nemmeno per la salvaguardia di quelle preesistenze territoriali che costituiscono un patrimonio di tutti.
Inoltre non si può dimenticare che la crisi finanziaria globale ha avuto, almeno negli Stati Uniti, origini strettamente legate proprio allo sviluppo immobiliare.
Basterebbero queste considerazioni per avanzare sospetti sull’efficacia odierna dell’edilizia come motore per un rilancio socio-economico di carattere generale.
Anche per quanto concerne l’aspetto del maggior gettito che questa manovra consentirebbe ai comuni per mezzo dei contributi di urbanizzazione, bisogna ponderare che si tratterebbe solo di una momentanea boccata di ossigeno e che, analizzando a medio termine, la maggiore densità edilizia, ed il conseguente maggior carico demografico, in quartieri già costruiti e soprattutto urbanizzati per un numero minore di abitanti, condurrà a conseguenze negative sulla qualità della vita dei residenti: aggravando fenomeni già congestivi come quelli legati al traffico o alla sorveglianza, al reperimento dei parcheggi, darà non pochi problemi alle amministrazioni locali chiamate a gestire ed organizzare l’urbanizzazione ed i servizi necessari.
In sintesi, favorire oggi l’edilizia al di là di quanto consentono piani regolatori già ora altamente permissivi equivale a rovesciare debiti sulle generazioni future.
Arch. Massimiliano Amati
architetto@sferamagazine.it