Sì alla musica in sala operatoria.

Il dottor David Bosanquet, dopo aver trascorso molti anni in sala operatoria consiglia cosa evitare e cosa invece preferire.

Si parla molto dei benefici della musicoterapia nella gestione di ansia e stress causati da fattori esterni, soprattutto quando si parla di pazienti ospedalizzati.
Sin dall’antichità si hanno notizie sull’utilizzo della musica per fini terapeutici in tutte le culture musica e medicina erano praticamente una cosa sola. Il sacerdote medico (lo sciamano) sapeva che il mondo è costituito secondo principi musicali, che la vita del cosmo, ma anche quella dell’uomo, è dominata dal ritmo e dall’armonia. Sapeva che la musica ha un potere incantatorio sulla parte irrazionale, che procura benessere e che nei casi di malattia può ricostituire l’armonia perduta, ma soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo si è ampiamente sviluppato l’interesse verso la musica come terapia complementare.
Musicoterapia è un termine che deriva dalla fusione di due concetti: da un lato la Musica, dall’altro il Curare. Si tratta, quindi, di una disciplina di carattere preventivo e terapeutico-riabilitativo che utilizza l’espressione musicale (in quanto forma di comunicazione non-verbale) come strumento per intervenire sulla sofferenza e il disagio.
Uno dei luoghi in cui la musicoterapia allevia ansia e stress sia al personale medico che al paziente, è la sala operatoria.

Anche se c’è qualcuno che preferisce il silenzio, in sala operatoria la musica sembra essere un vero toccasana:

  • per i pazienti, che quando si preparano a un’operazione riescono a rilassarsi e ad alleviare ansia e stress e una volta terminato l’intervento possono sperimentare un risveglio ‘morbido’,
  • per medici e infermieri, che migliorano le performances e la comunicazione.

In Gran Bretagna si utilizza la musica in sala operatoria in una percentuale variabile dal 62% al 72% dei casi, con l’80 per cento dei chirurghi coinvolti e del resto dello staff sostengono di riuscire in questo modo a concentrarsi meglio, soprattutto se il brano che ascoltano e’ il loro preferito.

musicterapia

Da un articolo pubblicato sul British Medical Journal arrivano i consigli semi- seri di un esperto che ha trascorso molti anni in sala operatoria, il dottor David Bosanquet, su cosa evitare e cosa invece preferire.

Sì a “Stayin’ Alive” dei Bee Gees, perché in caso di arresto cardiaco aiuta a “tenere il ritmo” nella rianimazione cardiopolmonare, sì a “Comfortably Numb” dei Pink Floyd, ideale da ascoltare mentre si attende che l’anestesia epidurale faccia effetto ma poi da non ripetere perché spinge troppo all’introspezione e sì anche a “Wake Me Up Before You Go-Go” degli Wham, ideale per alleviare lo stress post- operatorio e ridare morale all’intero staff. No invece a “Scar Tissue” dei Red Hot Chilli Peppers, che come si evince dallo stesso titolo “tessuto cicatriziale” mal si adatta in particolar modo alla chirurgia plastica, no a “Everybody Hurts” dei Rem, un classico eppure troppo malinconico per i chirurghi ma anche per i pazienti. Cartellino rosso anche per “Another One Bites the Dust” e “Killer Queen” dei Queen, soprattutto se ci sono chirurghi o anestesisti donne, mentre per la musica classica il via libera e’ totale, senza limitazioni.
Non a caso, Platone stesso sosteneva che “La musica è la migliore medicina dell’anima”.
Alessia Locicero

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