La passione per lo studio viene trasmessa e coltivata in famiglia. Il ruolo dell’educatore? Sfortunatamente sempre più contestato.
“Mio figlio è stato bocciato: una delusione inspiegabile, eppure c’abbiamo provato in tutti modi a farlo studiare… ramanzine, premi, punizioni”.
Quante volte abbiamo pronunciato o sentito pronunciare questa frase. La delusione è reale e realmente non si capiscono le motivazioni e le cause del disinteresse dei nostri figli nei confronti della cultura.
Delusione, rabbia, amarezza, senso di impotenza, frustrazione, sensi di colpa! Tutti i genitori si macerano dietro a questi sentimenti negativi, quando un figlio odia la scuola, prende brutti voti e non si impegna nello studio. Qualcuno proprio non lo accetta; infatti cresce il numero di madri e di padri che ricorrono al giudice per far annullare la bocciatura.
E allora noi cosa possiamo fare? Innanzi tutto è necessario farsi un esame di coscienza: ma noi come genitori abbiamo trasmesso ai nostri figli l’amore per lo studio? E proteggere i ragazzi dagli insuccessi e dal giudizio degli insegnanti li aiuterà a crescere?
Per quanto riguarda la prima domanda è fondamentale che l’amore, la passione per la conoscenza venga trasmessa dalla famiglia, sono rari i casi in cui siano innati. Bisogna far capire ai propri figli che lo studio è un atto di amore, non di terrore.
Più lo minaccerai di togliergli le cose che gli piacciono, meno lui troverà i motivi per studiare, perché dalla sua vita tu avrai allontanato la bellezza.
E la bellezza è importante a tutte le età. La bellezza di uscire, di ridere, di non pensare a niente, di giocare, di prendersi la prima cotta, di scoprire il sesso, di perdonarsi… Perché non c’è nulla di sbagliato nel viverla con spensieratezza. E se gliela togli adesso che è un ragazzo, gliela avrai tolta per sempre, anche da adulto. Lo studio è un esercizio progressivo, che si esercita con la passione, e non con la paura. E’ una passione che esplode piano pianissimo, certe volte, e che è facile spezzare prima che si fortifichi.
Lo studio è ebbrezza, perché non c’è niente che dia più soddisfazione della conoscenza, delle domande a cui trovare un perché, della curiosità soddisfatta, del senso della scoperta.
Insegnagli ad amare. Insegnagli a ridere. Insegnagli ad essere curioso e a cercare da solo le sue risposte.
Insegnagli che studiare è la sua via di liberazione, per diventare quello che lui è.
Aiutalo ad organizzarsi. Chiedi a lui quanto tempo vuole dedicare allo studio nel pomeriggio: se preferisce studiare alle 2, alle 4 o la sera; se ha bisogno che tu stia ad ascoltarlo mentre ripete la lezione o se ha bisogno di piccole ripetizioni per colmare alcune lacune.
Programma con lui 10 minuti, non di più, di briefing la sera, per guardare insieme il diario, per programmare i compiti della settimana e incastrarli con le sue uscite e le sue passioni, per definire le strategie di studio (riassunti, pc, studio con i compagni, etc.).
Per quanto riguarda la seconda domanda, notiamo la tendenza nelle scuole italiane soprattutto da parte di genitori colti e benestanti di ricorrere al T.A.R. per far cancellare la bocciatura dei loro figli.
Genitori che quando vanno all’incontro con gli insegnanti danno in escandescenza, contraddicono, magari davanti al figlio, il professore.
Figura questa che in particolare al centro e al nord sta perdendo sempre più l’autorevolezza che lo ha giustamente contraddistinto in passato. I motivi li chiediamo alla psicologa Lorena Gasbarroni.
Perché in passato l’educatore era considerato una figura fondamentale e autorevole ai fini della crescita del bambino-ragazzo e invece oggi tende ad essere sempre meno considerato tale?
Scuola e famiglia, le principali istituzioni deputate alla crescita e allo sviluppo psico – affettivo ed educativo dei bambini- ragazzi, hanno subito negli anni dei profondi mutamenti che risultano evidenti nella “confusione” di ruoli a cui troppo spesso assistiamo, dove i bambini-ragazzi sembrano prendere il sopravvento e porsi in una posizione di superiorità rispetto a figure che dovrebbero essere riconosciute e rispettate come autorevoli. A differenza del passato molto spesso si verifica un atteggiamento oppositivo anziché collaborativo tra famiglia e scuola ove i genitori anziché accogliere le segnalazioni degli insegnanti per far fronte ad un insuccesso scolastico o ad una problematica presentata tendono piuttosto a difendere i figli, arrivando ad atteggiamenti accusatori verso il professore. D’altra parte l’educatore non deve dimenticare che ha una grande responsabilità nella crescita e nello sviluppo di un’identità personale di ogni singolo bambino.
Ciò che sarebbe auspicabile è uscire da un circolo di reciproche accuse e attribuzioni di responsabilità tra scuola e famiglia ed iniziare a guardare nella stessa direzione, avendo un obiettivo comune, ossia un adeguato sviluppo cognitivo e psico-affettivo del bambino-ragazzo.
Secondo te perché ci sono bambini più propensi allo studio? La famiglia incide nella propensione allo studio e come? L’individuo inizia a sviluppare i concetti di sé molto precocemente nello sviluppo e determinante in questo senso risultano essere le prime relazioni con le principali figure di accudimento/attaccamento. Un genitore presente, supportivo, che fornisce una “base sicura” per il bambino determina in quest’ultimo un senso di sicurezza nei confronti dell’ambiente circostante. Bambini che hanno sviluppato un attaccamento sicuro con le principali figure di riferimento sviluppano maggiore sicurezza nelle proprie capacità nel momento in cui si trovano a fronteggiare determinate situazioni, tra cui lo studio. È importante insegnare ai bambini il senso di responsabilità verso i loro impegni e fornire loro il giusto aiuto e supporto emotivo nel fronteggiare le difficoltà che inevitabilmente si presentano durante il processo di apprendimento, non solo colpevolizzarli per risultati non ottenuti.
Quindi spetta a noi genitori aiutare i nostri figli a studiare, a capire l’importanza della conoscenza al di là di tutti i discorsi che si sentono oggi sulla meritocrazia e soprattutto è necessario che gli insegnanti siano rispettati come i più importanti educatori esterni al nucleo familiare.
Cristina Farina