Un riccio di mare in difesa dell’ambiente e dell’uomo: uno studio condotto su un organismo modello per la sicurezza di nanoparticelle metalliche disperse in mare. Dalla somministrazione di farmaci antitumorali, le nanoparticelle tornano ad essere protagoniste, anche per quanto riguarda la eco-compatibilità.
I ricercatori dell’Istituto di biomedicina ed immunologia molecolare “Alberto Monroy” del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibim-Cnr) di Palermo, in collaborazione con il Dipartimento di scienze ambientali, informatica e statistica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, hanno studiato gli effetti dell’inquinamento in ambiente marino da nanoparticelle metalliche. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, è stato condotto sulle cellule immuni del riccio di mare Paracentrotus lividus, ma fornisce interessanti indicazioni anche sulla salute umana.
“I risultati mostrano che le cellule immuni del modello riconoscono le nanoparticelle di ossido di titanio come corpi estranei, contro cui innescano meccanismi di protezione e difesa, cercando di eliminarle senza tuttavia attivare una risposta infiammatoria, che avrebbe conseguenze più gravi per l’organismo”, precisa Valeria Matranga dell’Ibim-Cnr. “In termini tecnici, mediante gli studi di microscopia ottica e di immunofluorescenza, immunoblotting e Real Time PCR abbiamo dimostrato che le cellule immuni inglobano le nanoparticelle in vescicole fagocitarie, inibiscono la fosforilazione di una proteina chinasi (p38 MAPK), stimolano la produzione di un recettore di membrana coinvolto nella risposta immune (TLR receptor 4-like), ma non attivano segnali di stress cellulare (hsp70) o pro-infiammatori (IL-6, NF-kB). Tutte indicazioni della non tossicità delle particelle di ossido di titanio nei confronti del riccio di mare, che si è rivelato un modello adatto per studi sulla sicurezza delle nanoparticelle”.
“L’impatto dei fattori di stress ambientale sulla risposta immunitaria viene esaminato in organismi a vari livelli della scala evolutiva, dalle piante all’uomo”, prosegue Matranga. “Il genoma del riccio di mare si è rivelato più vicino a quello umano rispetto al genoma di altri organismi modello, come ad esempio roditori, pesci, vermi o il moscerino della frutta. Inoltre, il complesso e sofisticato sistema immunitario del Paracentrotus lividus, che riconosce i patogeni grazie a un vasto repertorio di proteine, unito alla facilità di manipolarlo in laboratorio, lo rende ottimo per lo studio delle risposte immuni. Lo studio in vivo è stato condotto nel pieno rispetto dei criteri 3R (Replacing, Reducing, Refining) dell’European Partnership for Alternatives Approaches to Animal Testing, un’iniziativa della Commissione europea per la protezione degli animali coinvolti in ricerche scientifiche”.