Una volta i genitori si preoccupavano per il motorino, adesso per internet e dintorni.
In vista del Safer internet day il centro studi Erickson, con l’aiuto di Serena Valorzi, psicologa e psicoterapeuta.
Serena Valorzi, esperta in prevenzione, formazione e trattamento delle New Addictions, ha stilato cinque regole che i genitori dovrebbero seguire prima di dare uno smartphone ai propri figli.
Dai fiducia al suo racconto e cercate insieme una soluzione.
Cyberbullismo, furto d’identità, sexting, trolling, adescamento e violenze sessuali online sono solo alcuni dei reati più comuni che vedono come vittime i più giovani e i più indifesi.
Il Centro Erickson ricorda che da ricerca condotta per la Polizia di Stato da Skuola.net su un campione di circa 10.000 studenti di Medie e Superiori, risulta che il 90% dei ragazzi italiani ha uno smartphone con abbonamento a internet per navigare in mobilità.
Così da non rimanere mai senza Facebook, WhatsApp, Snapchat, Twitter, Instagram.
Solo uno studente su 5 afferma che i social hanno un ruolo marginale nelle relazioni sociali.
Tra i motivi principali che spingono i ragazzi all’uso dei social, ci sono il desiderio di informarsi sulle notizie (59%), su quanto accade ai propri amici e conoscenti (51%), sostituire per ragioni di risparmio economico telefonate e sms (44%).
1 su 4 confessa di essere sempre connesso, rispondendo prontamente a ogni notifica proveniente da smartphone, tablet o pc.
Per questo bisogna sempre disporre di una connessione.
Senza internet, 1 su 6 ammette di provare un senso d’ansia.
Prima di tutto dobbiamo chiederci se intendiamo fornire un mezzo potentissimo di contatto con il mondo virtuale a nostro figlio perché ne ha bisogno e gli sarà utile davvero o se lo facciamo perché siamo molto ansiosi, vogliamo “proteggerlo” o abbiamo paura che ci ritenga genitori cattivi.
L’attenzione va posta su cosa fa bene a loro, non su cosa sembra far bene a noi.
Senza dubbio, prima di dare uno smartphone, dovremmo aver vissuto un periodo di transizione in cui usiamo insieme il nostro.
Anche per comunicare con WhatsApp.
In questo modo è più facile commentare insieme ciò che va bene scrivere e condividere, che linguaggio usare e via dicendo.
Dobbiamo sempre cercare di essere buoni modelli.
Spegnerlo di notte o ai pasti, non lasciarci interrompere dalle notifiche se stiamo parlando con qualcuno.
Quando penseremo che nostro figlio sia abbastanza grande e abbia fatto un’adeguata “gavetta” condivisa con noi, informato di tutti i rischi in cui si può incorrere e con la raccomandazione di parlare subito se ci fosse qualche problema, possiamo regalarglielo.
È importante fare però un accordo.
Ogni tanto guarderemo i contenuti e fisseremo degli orari per evitare un accesso continuo.
Ricordiamoci sempre che sono oggetti molto distraenti e molto più attraenti dello studio.
Prima di tutto possiamo pensare che avere la possibilità di giocare ai videogiochi è molto più attraente che leggere un libro o fare i compiti.
Dunque avere una console in casa deve essere una scelta fatta consapevolmente.
E’ altrettanto necessario che si impostino subito delle regole precise in termini di tempo.
Mezz’ora, un’ora al giorno possono non essere dannose se si fanno molte altre esperienze di relazioni dal vivo e si passa anche del tempo all’aria aperta.
Meglio non giocare ai videogiochi prima di fare i compiti perché alla fine si è tesi e si perde qualsiasi motivazione allo studio.
Quando si gioca, meglio farlo assieme a un amichetto o con mamma e papà.
Se, però, nostro figlio vuole giocare per molto tempo, si arrabbia quando lo chiamiamo a pranzo o a cena, sembra cupo, infelice, non ha amici con cui uscire, va male a scuola, non ci parla più… allora questi sono segnali chiari di uno stato di dipendenza.
Prima ve ne accorgete e prima risolverà il suo problema.
Non esitate a chiedere aiuto a chi è specializzato in questo campo.
Se vostra figlia vi racconta di sentirsi offesa e umiliata o esclusa deliberatamente dalle conversazioni di gruppo su WhatsApp, avete fatto un buon lavoro.
Vi sta chiedendo aiuto, si fida di voi, sa esprimere un disagio e questa è un’ottima occasione per insegnare come si gestisce una crisi.
Accogliete il suo racconto, il pianto e la rabbia, e gestite prima di tutto la vostra reazione emotiva.
Commentare: “Lasciali dire, smetteranno” e non parlarne più, equivarrebbe a lasciarla sola e ad insegnarle che non vale la pena parlarne.
Fermi.
Si ascolta, se ne parla insieme al papà, perché nessun genitore sarà deluso.
Ricordate che non siete soli, potete chiedere a vostra volta aiuto, come vostra figlia ha imparato a fare.
di Anna Catalano