Un viaggio breve, ma lungo, quello sul “Frecciarossa”.
No, non il Frecciarossa quello vero.
Ma su un mezzo “Come un Frecciarossa”.
Questo il titolo del lavoro di Chiara Di Benedetto, alunna del Meucci vincitrice della categoria D.
Un testo tutto da leggere per capire di cosa si tratta:
“Amo viaggiare.
Brevi o lunghi che fossero, ho amato quasi tutti i viaggi che ho compiuto.
Ho sempre pensato che nella vita fosse fondamentale viaggiare, in fondo il mondo è così vasto, così bello e il tempo così poco; oggi però non ho voglia di raccontare nessuno dei viaggi a cui stavo pensando poco fa, anche perché, ahimè, non sono mai andata abbastanza lontano da potervi intrattenere con un racconto degno di tale nome.
No, oggi voglio parlare di un altro viaggio, il più emozionante ma al tempo stesso il più difficile, il più lungo ma anche il più breve, il più comune ma anche il più singolare.
L’immagine è così vivida nella mia mente che non posso fare a meno di descriverlo così… all’ombra del mio vagone, dal sedile in pelle rossa dove sono seduta, quello migliore, quello che dà sul finestrino, tutto sembra così luminoso: il sole gioca a nascondino tra i rami degli alberi, assomiglia ad un bambino timido che si nasconde dietro la gonna della madre ma che, troppo curioso, sbircia il mondo con l’occhio che non è nascosto, ogni sguardo una scoperta; con quello sguardo il sole mi colpisce il viso, amo la sensazione del calore sulla pelle, quel calore che sa darti solo il sole in alcuni speciali pomeriggi di primavera.
Da una fessura nel finestrino (tipico degli italiani, figurati se non c’è qualcosa di rotto da qualche parte) entra un truciolo di aria fresca che mi colpisce la nuca riempiendo l’aria dell’odore della primavera.
Fuori è una macchia verde, il treno va così forte!
E’ come se qualcuno avesse impostato il film su “avanti veloce,” non si capisce niente di ciò che accade fuori, si vedono solo macchie sfocate, sprazzi di luce, montagne in lontananza, si hanno fugaci visioni di uccelli in un costante cielo azzurro, sembra che quel qualcuno debba premere “stop” da un momento all’altro, come se nel gioco delle sedie la musica si dovesse interrompere all’improvviso, ma non accade mai, il treno non si ferma così.
Amo stare accanto al finestrino, anzi, io DEVO stare accanto al finestrino, cosa che mi crea non pochi problemi con le persone con cui viaggio… il fatto è che al mondo, secondo me, esistono due tipi di persone: il tipo “da finestrino”, e il tipo “da corridoio”.
Inutile dire che è meglio non avere nulla a che fare con i tipi “da corridoio”… gente strana, alquanto triste direi.
Ma tornando al mio posto sul treno veloce: il ritmo è costante, come il rumore: tum tum, tum tum, tum tum, gli sferragliamenti riempiono l’aria ma anche il silenzio.
Ecco cosa c’è di strano: il silenzio.
Mi guardo intorno, accanto a me c’è una signora anziana dal volto familiare, i capelli sono grigi quasi totalmente bianchi, lunghi fino al mento, gli occhi leggermente a mandorla sono buoni, gentili, mi ricordano altri occhi altrettanto buoni, di un castano chiaro, come il cioccolato al latte.
Lei ha la valigia accanto, la tiene appoggiata al polpaccio sinistro, guarda dritto davanti a sé; è strano, qui nessuno riesce a guardare dritto, a non guardare fuori, a non guardare indietro, lei è l’unica che, con sguardo fiero e sicuro aspetta, aspetta che il treno si fermi.
Ha l’aria un po’ emozionata ma non insicura, è come se sapesse dove sta andando, il che è strano dato che qui nessuno sa dove stiamo andando, non lo so nemmeno io.
Capisco che può sembrare assurdo.
Perché salire su un treno senza sapere dove è diretto?
Il fatto è che per noi è così; non sappiamo quale sia la nostra destinazione, non sappiamo quale sia la nostra fermata.
Ho visto solo poche persone scendere, loro lo sapevano quando, sapevano che era la loro fermata; prima se ne stanno tranquillamente seduti e guardare fuori come tutti, poi ad un certo punto, senza un segnale, senza che debba accadere nulla di particolare, si alzano e, con molta tranquillità, prendono le loro valigie e, appena il treno si ferma, scendono.
Nessuno è mai più risalito, una volta che scendi non sali più.
Non posso nascondere che ogni tanto mi assale un briciolo di desiderio di scendere alla prima fermata, non perché non ami il viaggio o cose del genere, ma perché è così difficile sopportare di non sapere… io sono un tipo curioso, siamo tutti curiosi, abbiamo bisogno di conoscere, siamo fatti tutti così qui, e non conoscere la nostra direzione ci spaventa, ci fa impazzire.
Per questo a volte vorrei scendere, solo per sapere cosa c’è fuori, solo per avere una risposta alla mia domanda, alla mia perenne domanda, ma capisco che non è la mia fermata e che non posso rinunciare ad un viaggio tanto bello perché lo amo troppo.
Come ho detto, ho visto diverse persone scendere, solitamente sono anziane, sono quelle che hanno viaggiato di più, a volte però sono giovani, a volte sono appena salite sul treno; ci chiediamo il perché, ma, se non sappiamo nemmeno dove stiamo andando, come possiamo spiegarci perché alcuni scendono e altri no, oppure perché alcuni scendono prima di altri?
A volte guardo indietro e penso ai binari percorsi, lì la vista era mozzafiato, ancora più bella di come è adesso, era tutto nuovo per lo meno.
Mi manca quella strada, ci ripenso sempre con un po’ di nostalgia, perché più vado avanti più i kilometri da percorrere mi fanno paura.
Non fraintendete, sono felice di viaggiare, è solo che a volte mi sembra che il treno vada troppo veloce, vorrei fermarmi a respirare, vorrei godermi ogni particolare del panorama, ma non posso perché andiamo troppo forte e l’unica cosa di cui ho veramente paura è di non godermi il viaggio veramente a pieno prima che il treno arrivi al capolinea.
Ma adesso basta, mi dovete scusare se mi lascio andare a questi pensieri, sarà l’età, o sarò io dato che a volte mi sembra di essere l’unica che vi si sofferma tanto.
E va bene, ora mi concentro sul panorama e sto zitta, lo prometto… okay, no, è impossibile, i miei pensieri vanno più veloci del mio Frecciarossa, è più forte il loro rumore che quello del treno: tum tum, tum tum, tum tum, tum, tum aspetta, sbaglio o sta rallentando?
La dolce signora accanto a me si è alzata con aria fiera ed emozionata, incredibile la stabilità con cui si muove su quelle deboli e stanche gambe, mi lancia uno sguardo colmo di uno scintillio strano, non so ben dire cosa sia, e con passo deciso si dirige verso le porte, queste si spalancano, lei tira un sospiro che dice “sono pronta” e scende dal Frecciarossa, che, come se non fosse successo niente, riparte a velocità sfrenata.
Chissà come sarà la sua fermata, ho la sensazione che un giorno la rivedrò, non so bene dove o come ma la ritroverò e la ringrazierò per avermi accompagnato in questa avventura, anche se solo per poco; nel frattempo io me ne rimango qui, desiderosa solo di continuare il mio viaggio, perché, si sa, la parte migliore non è arrivare, è viaggiare… e poi questo viaggio è breve, anche se sembra lungo, lungo come una vita…”
di Massimo Pacetti