Il 29 Ottobre 1937 Aprilia è inaugurata da Mussolini con la rituale entusiastica partecipazione di un popolo festante, alla presenza del Ministro, allora Delfino di Hitler, Rudolf Hess. Non mancano in piazza Roma, tra le bandiere italiane, gagliardetti e striscioni inneggianti al Duce, bandiere con la croce uncinata. L’alleanza con la Germania è baldanzosamente ostentata agli intrepidi, osannanti e ignari coloni apriliani convocati in Piazza Roma nel giorno dell’inaugurazione della città. Il documento visivo e sonoro dell’Istituto LUCE ci mostra il tipico, accattivante e dialogico discorso di Mussolini con al fianco il delfino di Hitler: Rudolf Hess, in uno scenario dove al popolo festante che riempie la piazza con gagliardetti e vessilli di regime fa corona l’alternanza di bandiere italiche insieme alle bandiere uncinate della Germania alleata.
Al popolo spettava semplicemente il ruolo di comparsa scenica nel momento dell’esaltazione liturgica della vittoria. Durante il suo discorso, il Duce, con la sua proverbiale capacità di manipolatore di coscienze sensibili al culto della personalità perché già da tempo educata sui banchi di scuola a “credere, obbedire e combattere”, si apre paternamente ad una confidenza: “… io vi confesso di nutrire una sfumatura di simpatia per Aprilia, perché Aprilia fu fondata durante il periodo della vittoriosa guerra africana, il giorno 160° dell’assedio economico”. Un augurio? Forse piuttosto un triste presagio delle tragedie verso le quali sta correndo questo “simpatico” e inconsapevole popolo di Aprilia. La storia, non il mito accattivante del “Duce – Padre” dispensatore di pace e lavoro del tipo “Mulino bianco”, ci consegna la triste realtà di una comunità, quella apriliana, anima e corpo consegnata ai progetti insensati di un uomo sempre più incatenato alla logica della guerra, al culto della razza (1938) e quindi sempre più vicino alle farneticanti pretese di dominio del mondo del suo antico discepolo, Hitler.
Un popolo anche comprensibilmente e realisticamente riconoscente al regime che aveva bonificato il territorio pontino, liberato dalla povertà e dato lavoro a tante famiglie contadine del Veneto , del Friuli, del Ferrarese ma a cui chiedeva in cambio l’assoluta fedeltà e ubbidienza in un progetto che già allora poteva intravvedersi tragico. Erano gli anni dell’apogeo del regime: proibiti i partiti politici, resi innocui anche con la galera gli intellettuali che restavano in Italia, fuoriusciti gli oppositori politici, solo stampa di regime controllata direttamente dal Duce attraverso le cosiddette “veline”, pochi avevano capacità e possibilità di intravvedere il disastro imminente. La Libertà era un concetto non solo “elasticissimo” come dice l’intellettuale del regime Giovanni Gentile nel suo elogio al regime, ma ora senza senso. Si viveva di artefatte glorie nazionali.
Questi sono i fatti. Bisogna raccontarli, questo sì, perché è giusto e utile fare memoria, per il presente e per il futuro. Usare un lessico adeguato è però necessario per non incorrere in pericolose e fuorvianti interpretazioni storiche. Celebrare vuol anche dire “lodare, esaltare, glorificare…un eroe, un martire, le gesta di qualcuno.. anche festeggiare” (Treccani). Nel nostro caso l’inaugurazione della Città di Aprilia è la pagina più nera della nostra storia. La ragione deve, una buona volta, fare i conti con i fatti.