De “La bambina di neve” mi ha attratto il titolo, molto delicato. Molto fiaba (poi, vabbè ho scoperto che è davvero tratto da una fiaba). Anche il nome dell’autrice, Eowyn Ivey, non è male. Fa molto “sono uscita da un libro di Tolkien e non me ne vergogno”.
La trama in sé non è male. Ci sono questa coppia di anziani (ancora innamorati, talmente ancora innamorati che lui è ancora attratto dall’odore della pelle di lei) che si trasferisce in Alaska. Non sono riusciti ad avere figli, tranne una singola piccola creatura nata già morta. E questo ha riempito il loro cuore di tristezza. Nonostante ciò restano una coppia salda e decidono di affrontare un’avventura insieme (molto “Up” della Disney). Ma le avventure non sono sempre come le immaginiamo. A volte non hanno nulla di fiabesco. In Alaska ci sono i campi da coltivare. Mabel (la protagonista femminile) si immaginava di coltivare le nuove piantagioni a stretto contatto con il marito e invece no, lei come creatura femminile delicata a cui piace leggere viene relegata nei soli lavori domestici. Quindi il marito si ritrova ad affrontare da solo i lavori nei campi, senza l’aiuto dei figli, mentre lei finisce annoiata tra le mura domestiche, potendolo vedere solo la sera, quando è stanco. E poi in Alaska c’è il problema dei soldi, di come arrivare a fine mese e di come sopravvivere all’inverno.
Insomma, povera Mabel, di fiabesco non c’è quasi nulla. Ma una sera, fanno un bellissimo pupazzo di neve a forma di bambina e subito dopo si ritrovano a fare l’amore. La mattina il pupazzo di neve non ci sarà più. In compenso ci saranno le tracce lasciate da una misteriosa bambina e dalla sua volpe.
E la loro vita cambia.
Comunque tutta la storia è incentrata sul mistero di questa bambina, sul loro legame con lei (riversano tutto il loro istinto materno e paterno di una coppia senza figli in quella inafferrabile bambina), sul loro rapporto che cambia e cresce (ed è bellissimo che un rapporto possa crescere dopo tanti anni di matrimonio), sui lavori dei campi e sull’amicizia con i vicini di casa.
Mi piace moltissimo il finale (che non spoilero) perché ricorda moltissimo una variante della favola originale russa.
Unica nota negativa: la bambina è senza dubbio una creatura sovrannaturale, ma l’autrice le ha dato qualcosa di reale (un padre e una foto) che poi non si incastra bene con il resto della storia e ti lascia un po’ con il dubbio su chi erano quelle persone e che effettivi legami avevano con questa bambina. Non mi piacciono i libri che lasciano punti oscuri. Soprattutto punti così oscuri ai fini della trama.
Comunque una lettura abbastanza piacevoleì, soprattutto con questo caldo estivo.
Buona lettura!