“Fa amicizia con il buio che c’è in te. Non è tuo nemico. Aprigli le tue labbra, bevilo, parlagli, conoscilo. Fa parte di te. Non sei sola con la tua oscurità: nessuno di noi lo è”.
-La donna che collezionava farfalle. B.McGill
“La donna che collezionava farfalle” ha qualcosa del Dracula di Bram Stoker ma manca completamente del mistero che avvolge il famoso vampiro. Scritto in forma epistolare (come “Dracula”, appunto) manca completamente del giallo che si aspetta leggendo la trama dietro la copertina.
Charlotte Ormond, quattro anni, viene trovata morta nella stanza del guardaroba della dimora di famiglia. Ha le mani legate con una calza annodata a un anello infisso nel muro. La piccola si è strangolata nel tentativo di liberarsi. A chiuderla lì dentro è stata la madre Harriet, mettendo in atto i rigidissimi principi educativi in cui crede: la situazione le è sfuggita di mano, la sua colpevolezza è evidente, ma le cose sono davvero andate nel modo che appare più ovvio? Sessanta anni dopo, Maddie, la vecchia tata di Charlotte, nel ricevere una lettera di Anna, l’ultima discendente degli Ormond, capisce che è giunto il momento di confessare un segreto che serba ormai da troppo tempo: solo lei sa cosa accadde veramente nell’ultimo giorno di vita di Charlotte. Al racconto di Maddie si alternano le pagine del diario che Harriet Ormond ha scritto in carcere dopo la condanna con cui si è concluso il processo a suo carico. Due voci potenti e straordinarie, quella arcaica, intrisa di spunti gotici, della popolana Maddie, e quella secca, tagliente, aristocratica di Harriet, una donna fiera e indipendente, algida e volitiva, incapace di scendere a compromessi. La piccola comunità del luogo è stata pronta a giudicarla, ma il suo diario rivela una realtà ben più complessa. Dall’affascinante trasposizione letteraria di una vicenda realmente accaduta, una mystery story dai risvolti psicologici e ricca di suspense, emerge con forza il contrappunto di due vite intense e misteriose, a rivelare le mille sfaccettature di un’apparente verità.
La cosa più affascinante di questo romanzo è, appunto, che è tratto da una storia vera. Nel 1892, in Irlanda, è morta una bimba di tre anni: Mary Helen Montagu. La piccola, è deceduta per asfissia dopo che la madre aveva utilizzato una calza per legare la figlia a un anello infisso alla parete della stanza del guardaroba e dove la bambina è rimasta sola per tre ore. Per quanto il fatto storico a fine romanzo sia interessante, il romanzo stesso non lo è. C’è un senso di attesa che la storia cominci davvero e arrivi a metà storia che ancora non si è arrivati a un punto: ruota tutto sulla storia di questa bambina e della chiave del guardaroba, chiedendoti quale mistero ci sia dietro non arrivando a nessuna conclusione.
In realtà è la storia di due donne, diverse per età, temperamento e classe sociale: Maddie, la tata, e la madre della bambina. Ne escono fuori due caratteri diversi. La madre della bambina, nonostante il diario, resta davvero dura come sembrava.
Leggi le loro vicende e le vicende della loro famiglia senza mai arrivare a conoscere davvero nessuno. Non un membro della famiglia e nemmeno la piccola vittima della violenza.
Un romanzo dalle grandi aspettative ma che si rivela invece deludente.
Buona lettura!