Sole alto e splendente questa mattina su Carano. Proprio qui, il 22 agosto del 1903, veniva a mancare Domenico Menotti Garibaldi, figlio dell’immortale Giuseppe, il mitico “eroe dei due mondi”. A 113 anni di distanza dalla sua scomparsa, Aprilia ha voluto ricordare Menotti con una cerimonia in forma privata nei pressi della tenuta Ravizza Garibaldi. La commemorazione, curata dal consigliere Carmen Porcelli e dal giornalista, nonché presidente del comitato per il gemellaggio Aprilia – Mostardas Gianfranco Compagno, è stata preceduta dalla Santa Messa, officiata dal vice parroco della Chiesa San Pietro in Formis di Campoverde, Don Eduardo. Al termine della liturgia la folla si è raccolta intorno la veranda dell’ Enoteca “Carano Garibaldi” dove hanno preso la parola i due organizzatori della giornata. Sulle note dell’ inno di Mameli e del hino nacional brasileiro Carmen Porcelli e Gianfranco Compagno hanno ricostruito le tappe principali della vita di Domenico Garibaldi, meglio conosciuto con il nome Menotti (il padre Giuseppe volle così chiamarlo in onore del patriota Ciro Menotti, precursore dei moti del 1831).
“Menotti Garibaldi – racconta Compagno – era un massone non credente, tanto che venne scomunicato dalla chiesa. La scomunica gli valse il divieto di ricevere l’estrema unzione; una cerimonia laica quella del suo funerale, partita da piazza Vittorio a Roma, dove egli risiedeva. Nel corteo erano presenti affusti di cannone con corone del re d’ Italia e della repubblica francese, questo perché nel 1870 Menotti combattè per la liberazione e per l’ instaurazione di una repubblica in Francia. Prima che la salma di Garibaldi giungesse a Carano, essa venne posta temporaneamente a Cecchina. Qui venne da Nettuno, dove risiedeva nel periodo estivo, Gabriele D’Annunzio per deporre un ramo di quercia sulla bara di Menotti. Il Vate seguì il cordone fino a Carano, allora comune di Roma, e qui lesse l’orazione che trovate all’interno del mausoleo”.
Il consigliere Porcelli ha voluto ricordare l’impegno con cui Menotti Garibaldi ha combattuto la malaria a Carano, “testamento morale che ci obbliga a custodire e rispettare la terra e la natura, modus vivendi da tramandare alle future generazioni”. Non mancano le contestazioni: “Oggi purtroppo dobbiamo registrare un cammino a ritroso della nostra civiltà: se Menotti aveva cercato di strappare la terra all’acqua e alla malaria, noi stiamo condannando le future generazioni a vivere in un ambiente inospitale, perché impoverito nella sua essenza, e malato, e che pertanto costituisce una minaccia reale alla nostra salute. E quando ad un impoverimento strutturale e materiale ne segue uno culturale, una civiltà è destinata a scomparire: subito dopo la scomparsa di Menotti, avvenuta a causa della malaria, in queste terre arrivarono intellettuali del calibro di Giovanni Cena, Sibilla Aleramo ed altri che misero a disposizione la loro esperienza e conoscenza delle popolazioni residenti in queste zone, cercando di contribuire alla loro crescita culturale morale attraverso l’alfabetizzazione, poiché era loro convincimento che solo quella economica e di migliori condizioni di vita dal punto di vista sanitario non avrebbe consentito a quelle persone di migliorare e di crescere. Oggi, diversamente da allora, registriamo il costante tentativo a contenere la società in una cappa di medietà che non produce esseri pensanti, ma ombre che attraversano la storia senza lasciare segni, una mediocrazia che serve a farci rinchiudere in noi stessi, che ci condanna a sopravvivere e non a farci migliorare. Qualcuno ha goffamente interpretato il mio intervento dello scorso anno, attribuendo un semplicistico epiteto al sindaco ricavato dall’evocazione da Il Vecchio e il mare di Hemingway per descrivere come la natura, quando sfidata, può diventare cattiva. Del resto in una realtà dove la cultura è rappresentata da un animale che nell’intento di cercar becchime perde di vista il contesto, mi riferisco a Becco di rame, Hemingway può essere solo il nome di un cocktail. Il messaggio che noi lanciamo è quello di tutelare e preservare il nostro territorio perché è ancora in piedi il sistema 7, vale a dire ciò che con la variante di recupero dei nuclei spontanei, questa zona dovrebbe diventare una zona di edilizia residenziale dove si prospetta la realizzazione di duecento villette. Per carità, non vogliamo entrare nelle decisioni della famiglia, se questo è ciò che loro vogliono noi ne prendiamo atto, però non possiamo assistere impassibili, non possiamo non chiederci quale è l’indirizzo che questa città prende per quanto riguarda lo sviluppo”.
di Jacopo Cascone