Siamo dunque arrivati nel vivo del nostro reportage partito dalla Tenuta Calissoni Bulgari. Da oggi parleremo, infatti, delle battaglie che furono combattute nel 1944 nel territorio apriliano ed in quello a noi limitrofo, raccontando le operazioni alleate e tedesche condotte nell’ultima parte della Seconda Guerra Mondiale. Ad accompagnarci in questo viaggio è stato Massimo Zanon, membro dell’Associazione Storico Culturale The Factory 1944.
Luglio 1943: gli Alleati portano a compimento l’operazione Husky, sbarcando con truppe americane e britanniche in Sicilia. Si tratta della prima operazione alleata sul suolo italiano, ed il capo del governo inglese Winston Churchill vuole continuare a colpire l’alleato debole dell’Asse. L’intento è arrivare al “ventre molle” dell’Italia, portando delle truppe fino a Roma.
9 settembre 1944: il giorno dopo l’annuncio dell’armistizio che ha portato l’Italia dalla parte dell’Inghilterra e degli Stati Uniti d’America da parte del Generale Badoglio, le truppe alleate sbarcano a Salerno con lo scopo di risalire fino alla Capitale, nel frattempo abbandonata dai vertici militari e politici del Paese (i Savoia e lo stesso Generale Badoglio erano infatti riparati a Brindisi). La Linea Gustav, una serie di fortificazioni tedesche installate tra Gaeta ed Ortona, si rivelò tuttavia un ostacolo praticamente insormontabile.
Fine del 1943: Churchill propone una nuova operazione anfibia, la quale permetta agli eserciti alleati di aggirare l’ostacolo della Linea Gustav e consenta di stringere in una morsa bilaterale le truppe tedesche, costringendole alla ritirata. I Generali americani Eisenhower e Marshall danno parere negativo, portando all’annullamento dell’operazione sancito il 25 dicembre di quello stesso 1943. Venuto a sapere di questo esito, Churchill inizia a fare pressione sul Presidente americano Franklin Delano Roosevelt, che decide infine di ripristinare l’operazione Shingle il 26 dicembre. Eisenhower obbedisce, imponendo però delle severe restrizioni prima di dare l’autorizzazione per lo sbarco. Già in quel periodo, infatti, tutti gli sforzi americani erano concentrati sull’operazione Overlord, ovvero lo Sbarco in Normandia. Per questo motivo il generale americano autorizza l’impiego di sole 88 navi LST (che potevano arrivare fin quasi a ridosso della costa) per il trasporto di uomini e mezzi. La loro capacità di trasporto era di due sole divisioni alla volta, dunque le operazioni di sbarco si sarebbero prolungate oltre i termini previsti inizialmente dal Churchill. Inoltre, il termine per la conclusione dell’operazione anfibia fu fissato a febbraio perché, appunto, i mezzi messi a disposizione dovevano far rientro in Inghilterra in tempo per dare il via allo Sbarco in Normandia.
22 gennaio 1944: le truppe alleate sbarcano a Nettunia, la città nata nel 1940 dall’editto di Re Vittorio Emanuele III che aveva unito in una unica entità Anzio e Nettuno.
Il fronte dello sbarco si attestò intorno a 22 km di costa, suddividendo gli approdi in tre zone. Ai britannici, che tra le proprie fila contavano sull’apporto di soldati canadesi, irlandesi, scozzesi ed inglesi, spettò il settore denominato “Peter Beach”, che comprendeva Tor Caldara ed una porzione di Tor San Lorenzo, per poi essere distaccati nella zona del Canale Mussolini; agli americani, invece, furono assegnati i settori “Yellow Beach” (il vero e proprio porto di Anzio) ed “X Ray Beach” (Torre Astura). Tra le truppe che presero parte allo sbarco c’erano anche dei paracadutisti, che però furono impiegati come soldati di fanteria. L’operazione iniziale prevedeva che i paracadutisti fossero trasportati direttamente sopra Roma, atterrando dentro Villa Borghese, secondo quanto ipotizzato dal capo della OSS americana (la futura CIA) Generale Donovan. Il Generale Clark, però, recatosi nella capitale italiana per incontrare i vertici del Comitato Nazionale di Liberazione, inviò una lettera all’agente dell’agenzia americana distaccato proprio a Roma, Peter Tompkins, imponendo il suo veto alla missione, che dunque fu cancellata, lasciando i paracadutisti letteralmente a piedi.
Intorno alle 2 di notte di quel 22 gennaio 1944, dunque, i primi soldati alleati partiti da Napoli e Pozzuoli misero piede sul suolo laziale. L’operazione fu un successo, visto che il numero delle perdite fu molto limitato nonostante le perplessità che il Generale Patton aveva manifestato al collega Lucas, nominato responsabile dell’operazione. Giunto in visita al commilitone durante il suo periodo di “riposo forzato”, dovuto ad uno schiaffo rifilato ad un soldato ricoverato in un ospedale psichiatrico a causa della forte paura di recarsi al fronte e scritto in un rapporto redatto dal medico che assistette alla scena, Patton si sarebbe detto dispiaciuto che fosse toccato proprio all’amico sobbarcarsi un’impresa praticamente impossibile.
Già dal fuoco di sbarramento che avrebbe dovuto coprire lo sbarco si capì che sarebbe stata un’operazione complicata. Solo le navi britanniche, infatti, riuscirono a sparare i loro razzi (circa 1.500), mentre le navi americane non vi riuscirono per problemi di natura tecnica. La conta dei morti in quel primo giorno, comunque, si attestò solo sulle 13 unità, ma una sola fu la vittima di combattimenti propriamente detti. La maggior parte di quei 12 rimasti morì affogata. Non tutti i mezzi utilizzati per lo sbarco riuscirono infatti ad attraccare a ridosso della costa; a causa del pesante equipaggiamento che i soldati portavano nel proprio zaino, che poteva arrivare a pesare anche 20 chili, alcuni di quelli che furono costretti a sbarcare lontani dalla spiaggia non riuscirono a raggiungerla.
Nonostante si parli di una operazione di guerra a cielo aperto, si può comunque considerarla come portata a termine “tranquillamente”. I tedeschi, infatti, in quell’area avevano lasciato solo due guarnigioni, una delle quali di guastatori. Proprio in quel 22 gennaio era in programma la demolizione del porto di Anzio (o meglio, di Nettunia) appunto per evitare che potesse essere utilizzato per uno sbarco nemico. Questo perché il Feldmaresciallo Kesserling, al comando delle truppe tedesche in Italia, aveva già previsto la possibilità che un piano del genere potesse essere messo in atto. Alle 5 del mattino, dunque a sole tre ore dallo sbarco alleato, il Feldmaresciallo ordinò l’attivazione del “piano Richard”, ossia la ridistribuzione delle forze tedesche nel caso in cui l’offensiva alleata fosse partita a sud di Roma. Al momento dell’inizio dell’operazione Shingle erano presenti circa 150 unità tedesche; in poche settimane il piano Richard portò nella zona interessata circa 110.000 uomini. E questo complicò di molto i piani alleati.
L’obiettivo dell’operazione anfibia era quello di tagliare le vie di rifornimento alla Linea Gustav conquistando la stazione ferroviaria di Campoleone (missione britannica), l’Appia e la Casilina (obiettivi americani). Inoltre, era stato previsto che l’VIII Armata Britannica, già posizionata ad Ortona, completasse l’accerchiamento e costringesse i tedeschi alla ritirata. Ma non andò così. Oltre all’arrivo dei rinforzi tedeschi, va considerata come fattore di rallentamento dell’operazione anche la mal gestione del rafforzamento dei ranghi Alleati. Lo Sbarco di Anzio non fu infatti uno solo: per buona parte della durata dell’operazione Shingle, le navi da trasporto continuarono a fare la spola con la Campania, per lì i feriti ed i prigionieri e mandare forze fresche sul nuovo fronte. Uno schema che rallentò non poco la missione. I timori del Generale Patton sulla inadeguatezza di condurre tale operazione con così poche navi si rivelarono tutt’altro che infondati.
In un primo momento, comunque, gli alleati riuscirono ad avanzare. In pochi giorni gli americani arrivarono a Tre Cancelli e poi a Cisterna, mentre i britannici raggiunsero Campo di Carne. Dal cavalcavia che sormonta la Pontina, all’epoca in fase di costruzione, osservarono il territorio circostante e, scrutando l’orizzonte, incrociarono una serie di costruzioni in mattoni rossi con tre torri che sembravano ciminiere. Erano i tratti tipici di una fabbrica inglese, per cui nelle mappe fu segnata come tale, una fabbrica. Invece si trattava della città di Aprilia. Da questo episodio prende il nome l’Associazione che ci accompagna in questo suggestivo viaggio nel tempo: The Factory (appunto “la fabbrica”) 1944.
A questo primo avanzamento, però, seguì la decisione del Generale Lucas di fortificare le posizioni raggiunte. Il territorio pontino, a quel tempo, si presentava completamente piatto e praticamente privo di vegetazione. Esclusi i boschi di Padiglione e Foglietta, dove furono fatte stanziare molte truppe per nasconderle alle ricognizioni aeree nemiche, i soldati alleati erano costantemente sotto il tiro dell’artiglieria appostata sui castelli romani. Fu quindi deciso di fortificare il territorio conquistato, in cui ricadeva anche Aprilia presa dai britannici il 25 gennaio, i cui confini erano segnati dalla natura: da una parte il Fosso della Moletta, dall’altra il Canale Mussolini.
Da qui ripartiremo nella prossima puntata.
di Massimo Pacetti