Riceviamo e pubblichiamo il comunicato dell’associazione ANPI a proposito del Giorno del Ricordo, per non dimenticare le vittime delle foibe.
“La legge del 2004 riconosce il 10 Febbraio quale Giorno del Ricordo per conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo forzato dalle loro terre ed invita il mondo della scuola e della cultura a diffondere la conoscenza di questo capitolo della nostra storia”. E’ il comma 1 del primo articolo della legge.
L’ANPI è interessata alla “memoria pubblica” dei fatti e delle vicende tragiche del Novecento, nella certezza che questo investimento è produttivo da un punto di vista culturale, ma, ancora di più, che la diffusione delle conoscenze è un elemento decisivo per la partecipazione alla vita pubblica e la crescita della democrazia. Una convinzione tanto più alta se pensiamo alle giovani generazioni, cui devono essere forniti gli strumenti critici per decifrare l’universo che le circonda.
A proposito delle foibe e dell’esodo degli italiani, l’attenzione si polarizza immediatamente sulle tragiche vicende dell’autunno del 1943 e della primavera del 1945, in Istria e nella Venezia Giulia, segnate dagli eccidi compiuti dalle milizie jugoslave e da non pochi civili sloveni e croati contro gli italiani. Si materializza, in questa giornata, l’odio e lo sdegno per la “furia slavo-comunista”, per i crimini dei “partigiani comunisti jugoslavi di Tito”, sdegno che colpisce anche la Resistenza e il movimento partigiano tout court, in una riscrittura della storia “par condicio”, la shoah ma anche le foibe (come si sa, tragedie incomparabili).
E’ del tutto evidente che lo sdegno e il raccapriccio, di per sé legittimi, non forniscono elementi sufficienti per comprendere il significato profondo di tali eventi, che devono essere situati in un più ampio contesto temporale. L’impostazione storiografica di lungo periodo è quella più idonea per capire quanto avvenuto al confine orientale tra il 1943 e il 1945. Del resto la stessa Legge invita a considerare “le più complesse vicende del confine orientali”. Come abbiamo già detto tante volte anche a proposito della Shoah: se la memoria non riesce collocarsi in una prospettiva di ricerca storica, le tragedie de Novecento (ma anche quelle del secolo presente) risulteranno incomprensibili, come venute dal nulla e, soprattutto, senza nessun guadagno culturale.
“Le più complesse vicende del confine orientale” ci invitano dunque a considerare “le radici dell’odio” (come dice lo storico Enzo Collotti scrivendo sulle tragedie del Novecento)percorrendo con pazienza e amore di verità la storia di “lunga durata” dei territori orientali del nostro Paese.
Si scoprirà allora che il “confine mobile” come quello orientale abitato anche da popolazione slovene e croate, fu in vario modo e con sempre maggiore tenacia (!) soggetto a programmi di snazionalizzazione con il mezzo del cambiamento della toponomastica, della imposizione dell’ italiano come unica lingua e cultura. Dalle guerre del risorgimento alla prima guerra mondiale, le popolazioni “alloglotte” slovene e croate (della Venezia Giulia) dovevano essere italianizzate, eliminate fisicamente o cacciate dai loro territori in nome di un cieco nazionalismo virulento e aggressivo oltre che razziale. Ma fu durante il fascismo e la seconda guerra mondiale che le popolazioni non italiane subirono le peggiori discriminazioni, le persecuzioni, la detenzione nei campi di concentramento. Nel 1941, l’aggressione dell’esercito nazifascista e l’imposizione di governi fascisti come quello Croato di Ante Pavelic provocò immani stragi e deportazioni secondo il principio razziale della pulizia etnica. Si può continuare a tacere sui crimini commessi dal nostro esercito nei Balcani? Si può continuare a tacere sulla collaborazione di formazioni della RSI (X Mas, camicie nere, battaglioni Mussolini) alla spietata repressione nazista della popolazione civile, degli oppositori e partigiani dopo l’otto settembre del ’43? La Storia non si può prendere a spicchi se vogliamo veramente “fare memoria”. Bisognerà cominciare a fare attenzione forse anche alle sofferenze altrui. Sarebbe anzi opportuno, a questo punto, superare definitivamente la rimozione dei crimini fascisti e il luogo comune degli “italiani brava gente” e sostenere la proposta di storici del calibro di Nicola Tranfaglia e Angelo Del Boca per un progetto di legge volto a istituire una giornata della memoria anche per le vittime del colonialismo italiano e dell’imperialismo fascista.
Lo Stato italiano ci ha provato con la istituzione della “giornata del ricordo”, ma l’ha fatto in fretta e male, se è vero che quella giornata destinata alla “memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale”, è diventata, troppo spesso, un pretesto per attizzare quei rancori, risentimenti ed odii, che invece si sarebbe dovuto cercare di mettere al bando. L’ANPI sta lavorando, da tempo, per trasformare quella giornata (10 febbraio) in ciò che avrebbe dovuto essere, un giorno di vera “memoria” su tutte le vicende drammatiche alle quali si riferisce il titolo della legge 92/2004. La memoria assume davvero il carattere di valore, quando va al di là delle emozioni e dei sentimenti, per fondarsi sulla riflessione e sulla conoscenza.