Bespredel, il racconto di un lungo addio

Si conclude con Bespredel, vincitore della Categoria D, la rassegna degli elaborati premiati al Concorso di Scrittura Creativa

Bespredel – amore e rinascita è la storia di un lungo e doloroso addio.

Con questo testo Maria Pia Servadio, studentessa del Liceo Meucci, ha conquistato la giuria del Concorsi di Scrittura Creativa “Oltre il reale: racconti ad occhi aperti”.

Una storia toccante e molto intensa, che ha permesso alla giovane scrittrice di aggiudicarsi il primo premio nella Categoria D.

Un sogno che vale la pena di leggere:

Un tocco delicato, una voce dolce chiamava il tuo nome. Una mano attenta, le dita sottili ti accarezzavano il viso, il collo e si insinuavano tra i capelli. Sentivi la sua voce, non capivi cosa dicesse, ma ti bastava udirne il suono per sentirti sollevato. Una melodia gentile, riservata solo a te quand’eravate felici. Quella pelle che avevi imparato ad amare, quella mano delicata con te, ma spietata con chiunque provasse a toccarti. Ti chiamava, voleva che ti svegliassi, ma per quanto provassi non ci riuscivi. Le palpebre erano pesanti come un macigno. Non sentivi né braccia, né gambe, ma solo quelle dolci carezze.

-Svegliati, Matt…- continuava a ripetere, volevi vederlo. Sentivi il suo respiro, la sua pelle soffice. Un brivido ti attraversò la schiena, un’emozione che tanto ti era mancata. Un bacio innocente, che da solo bastò a risvegliarti. Aveva le labbra più dolci che tu avessi mai avuto il piacere di conoscere. Aperti gli occhi, ti trovasti davanti la più bella delle visioni. Il suo sorriso, il suo solito sorriso sottile, sincero come quello di un bambino. Gli occhi di un grigio profondo e freddo, che si mostravano a te teneri e puri. Era bello, ancora più dell’ultima volta che l’avevi visto. Ogni tratto del suo viso, gli zigomi alti, la pelle chiara, era reso ancor più splendido da quella luce bianca e calda.

Le lacrime presero a rigarti il viso, rivoli salati ti segnavano la pelle. Volevi che il tempo si fermasse e non desideravi che fissare il suo viso, senza stancarti mai. Era stato in silenzio per pochi secondi, ma già ti mancava la sua voce. Volevi che parlasse, non importava di cosa. Volevi ascoltare quella musica soave, non avresti resistito ancora senza. Ti era mancato tutto di lui, quella dolcezza che era solo sua, quell’amore che era solo vostro.

-Dove siamo?– avevi la voce flebile, stanca, non capivi dove fossi, eri confuso, ma finché c’era il suo sorriso con te nulla poteva andare storto.

Fili d’erba di un verde lucente, eri steso in un campo di fiori bianchi dai petali ampi e arricciati. Un fiore soffice, dal profumo indefinibile. Sapeva di lavanda, aveva un pungente tocco di cannella, poi la freschezza della rugiada. Non avevi mai sentito un profumo simile, così dolce ma deciso. Un profumo colmo di gioia, di calore, ma anche di malinconia, tristezza. Quel profumo tanto buono, ma fragile. Aveva il suo stesso sapore, intenso come lui. Quel profumo speziato, non ne avevi mai abbastanza. Eri certo che senza di lui quel posto non sarebbe stato tanto bello.

-Non importa, non starai qui ancora molto.- chinò il capo, il grigio dei suoi occhi si fece più scuro, vuoto, uno sguardo che non avresti mai voluto vedere su di lui. Non volevi fosse triste, non lo meritava. Eravate di nuovo assieme, potevate toccarvi, baciarvi, dunque perché quegli occhi si erano tinti di tanta malinconia?

-Non voglio andarmene.– le vostre dita si unirono in un dolce incastro. Eravate stati plasmati per essere l’uno complementare dell’altro, solo stando assieme potevate essere finiti. Non potevi esistere se non era con te, ma da quando lui, il tuo sole, si era spento era calato in te un buio più freddo e scuro della morte stessa. Forse era per quello che avevi affrontato tale decisione con tanta freddezza.

Quindi era successo, ci eri riuscito, l’avevi raggiunto, ti era venuto a prendere. Lui era lì, evanescente, il suo respiro leggero e calmo. Era lì, ma avevi aperto in lui una ferita enorme. Ti aveva amato più di quanto amava se stesso, anche se non meritavi nulla se non disprezzo. Si era sacrificato affinché tu potessi vivere ancora, per vederti brillare. Tu non avevi rispettato quel gesto, il suo nobile volere, avevi reso la sua tragica morte vana. Con il tuo egoismo non avevi ucciso solo te, ma anche lui, di nuovo, e quelle lacrime che stava versando né erano l’amara conferma. Piangeva perché non era riuscito a darti ciò che più desiderava, la felicità. Entrambi, ingenui, non eravate riusciti a comprendere quanto l’uno fosse importante per l’altro. Ed entrambi ne stavate pagando le conseguenze.

-Volevo stare con te…- ti tremava la voce, i vostri singhiozzi si fecero più asfissianti. Non volevi aver sbagliato tutto. L’avevi fatto perché senza di lui non potevi farcela e in fondo lui lo sapeva. Ti aveva lasciato in un mondo in cui non potevi trovare la felicità, non dopo una perdita tanto violenta. Vi stringevate, non volevate perdervi di nuovo.

Ti baciò ancora, un bacio timido, come fosse il primo. Una fredda brezza si levò da una selva buia, dall’altra parte del campo. Alberi morti, grigi, ammassati, non avevi notato che, in quel mondo bianco e puro, ci fosse qualcosa di tanto oscuro. Un vento potente strappò i petali dai fiori indifesi. Mentre volteggiavano, questi emanavano un odore nuovo, marcio. Un sapore chimico ti pervase la gola soffocandoti. Gli prendesti il volto, cercando un altro bacio, cercavi il suo dolce sapore per scacciare quel tanfo dai polmoni. Cercavi il sapore di un amore che non si era mai affievolito, brutalmente spezzato da chi, colmo d’odio, non riuscì ad accettarlo in quanto unico e raro. Ricordavi ancora quel giorno. Non importava quanto piangessi e lo chiamassi, lui non si muoveva più. Quelli, erano in sei, continuavano a colpire nonostante lui non reagisse, nonostante a te non importasse più nulla. Era morto stringendoti a sé, perché non ti venisse fatto del male, e quando qualcuno intervenne eri già solo. Avresti preferito morire lì, con lui, perché nelle settimane successive gli insulti e la paura furono ancor più difficili da sopportare da solo.

-Scusa.– sussurrò, ma tu non avevi nulla da perdonargli. Ti abbracciò, sentivi la sua stretta farsi sempre più leggera, lo sentivi svanire. Dall’orizzonte, oltre una catena di verdi e rigogliose colline, la luce cominciò a farsi più intensa, fino a diventare accecante. Ti lasciò un bacio tra i capelli, poi sussurrò ancora. –Ti aspetto, non avere fretta.- d’improvviso vi ritrovaste a sorridere assieme, lui era bello come non mai. Ti salutò, non era un addio, poi richiudesti gli occhi e al risveglio quel posto non c’era più.

C’era solo quell’odore chimico. Un letto scomodo, niente più fiori soffici, niente più profumo. Una luce intensa e fastidiosa. Le pareti della stanza dell’ospedale erano di un verde smorto, dalla finestra riuscivi a scorgere il cielo grigio e nuvoloso. All’orizzonte, però, le nuvole si stavano lentamente aprendo. Non sapevi cosa provare. Eri solo, di nuovo, ma non riuscivi ad essere triste, a piangere. La sua voce risuonava nella tua mente più nitida che mai, come se fosse lì con te, in quella stanza vuota. Giurasti che quando vi sareste ritrovati, avrebbe trovato davanti a sé un uomo di cui essere fiero. Un uomo coraggioso, che non aveva mai smesso di amarlo, che non aveva mai avuto bisogno di sostituirlo per essere felice. In quel breve viaggio avevi capito che l’unica cosa che volevi era che fosse orgoglioso di te, della vita che ti aveva donato col suo amore.

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