Esami di maturità – Decalogo per una didattica libera ed etica, dalla Fondazione Irene ETS
Esami di maturità: momento complesso per chi vive nel contesto dei DSA
La scuola non dimentichi la sua mission
Questo è il tempo in cui i ragazzi sono chiamati a sostenere le prove di maturità e gli esami licenza. Soprattutto per chi vive nel contesto dei DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) o altre neurodiversità, è un momento complesso e pieno di tensione. In queste ore la Fondazione Irene Ets (www.fondazioneirene.org) ha creato un decalogo per una didattica inclusiva e libera, per ricordare l’importanza di conoscere e comprendere le caratteristiche degli studenti DSA e le difficoltà emotive, relazionali e scolastiche che possono vivere.
A questo proposito è importante ricordare che durante gli esami, di licenza e di maturità, è necessario rispettare il PDP (cioè il Piano didattico personalizzato).
Nello svolgimento delle prove d’esame, i candidati con DSA possono utilizzare, ove necessario, gli strumenti compensativi previsti dal PDP e possono utilizzare tempi più lunghi di quelli ordinari per l’effettuazione delle prove scritte.
Ma soprattutto ricordiamo a ragazzi e famiglie che nel diploma finale conseguito non viene fatta menzione dell’impiego degli strumenti compensativi. Il diploma è un documento ufficiale che attesta il percorso di studio, formazione e impegno.
Sappiamo ormai da studi scientifici e letteratura di riferimento che la dislessia non è sinonimo di svogliatezza, non è una patologia e non è un deficit.
Troppo spesso gli studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento vengono erroneamente etichettati come svogliati o poco motivati. In realtà, le loro difficoltà di lettura, scrittura e apprendimento sono dovute ad una neurodiversità specifica e non ad una mancanza di impegno o interesse. È sempre più importante che insegnanti, educatori e genitori siano consapevoli di questa distinzione e offrano agli studenti il supporto e gli strumenti didattici di cui hanno bisogno.
“Non ero bravo, non ero intelligente. Lo facevo apposta a mettere tutto disordinato. Non avevo voglia di fare niente. Non scrivevo bene e non leggevo bene. Scrivevo a zampa di gallina. E leggevo a zampa di gallina. Avevo tanti compiti e se non li facevo la maestra mi sgridava. Mi davano tantissimi libri da leggere ma io non ci riuscivo. E allora la mamma me lo leggeva. Oggi le maestre mi ascoltano leggere e anche se non dicono niente i loro occhi mi piacciono, forse pensano: questo è migliorato veramente.
Io oggi mi sento felice. E sai? I mie compagni mi hanno detto che mi vogliono bene. Me ne volevano anche prima. Lo so. Ma forse adesso ancora di più. Perché lo sento di più.
Adesso è tutto così diverso che non mi ricordo nemmeno. Di quando piangevo e pensavo di essere incapace”
Questa è la storia di Enea. Sua madre si rivolge alla Fondazione Irene perché il bambino ha difficoltà a leggere. La scuola, in III elementare, gli ha assegnato molte letture che lui non riesce a gestire. Ma nessuno ci crede e le maestre pensano che lui sia svogliato. Enea è dislessico. Grazie ad un percorso dedicato oggi legge con meno fatica e ansia. La sua grafia è migliorata. La sua autostima è cresciuta. La sua diversità non è più un limite. Il percorso è ancora lungo ma i risultati sono stati raggiunti.
Le motivazioni. Il compito della scuola non è fare sentire inadeguati i ragazzi che hanno un modo diverso di apprendere ma aiutarli a migliorare e a trovare il loro metodo di studio e di in-formazione. Ed è per questo che le pre-valutazioni (non diagnosi) in scuola primaria sono fondamentali e troppo spesso sono sottovalutate o ritenute inutili.
Alcune leggi italiane, come per esempio la Legge 170/2010, hanno introdotto nuovi criteri diagnostici per tutelare di più i diritti degli studenti con DSA. Negli ultimi anni certamente molto è stato fatto per far emergere criticità e pregiudizi della scuola e della società. Grazie a questa svolta culturale e normativa, le diagnosi sono aumentate. Non sono aumentati i casi. Cioè è aumentata la consapevolezza di ciò che si deve fare e di quali strumenti è necessario dotarsi. C’è però ancora molta strada da fare.In particolare è necessario mettere a fuoco in modo più chiaro la figura del tutor dell’apprendimento specializzato, un professionista che ha una competenza specifica e non può sovrapporsi o confondersi con lo psicologo o l’insegnante di ripetizione. Il tutor dell’apprendimento specializzato affianca il bambino nella gestione di tutta la parte legata alle strategie di apprendimento e alle difficoltà riscontrate in un contesto scolastico che spesso non è pronto e adeguato a rispondere ai bisogni di bambini e ragazzi con queste caratteristiche. Il tutor specializzato quindi, che accoglie anche la spinta emotiva e relazionale del bambino, è a tutti gli effetti una figura di prossimità che svolge un delicato e attento intervento tecnico- scientifico e relazionale. Il suo ruolo non è di tipo clinico o terapeutico ma didattico. Si tratta di una figura strategica per la realizzazione del progetto di apprendimento individuale e la sua competenza non può essere espressa da nessun’altra figura clinica e/o terapeutica. Per diventare un tutor dell’apprendimento specializzato è necessaria una formazione specifica.
“La dislessia rappresenta una sfida e non un limite – afferma Irene Signorotto, Presidente della Fondazione. Con il giusto supporto e le strategie, tutti gli studenti possono raggiungere il loro pieno potenziale”.