“We were a part of it!”. La maratona di New York, si sa, rappresenta per molti podisti una vera e propria Mecca, a cui recarsi in pellegrinaggio una volta all’anno. In questa edizione a rappresentare i colori della Podistica Aprilia sono stati in cinque: Paolo Cencioni, Salvatore Musto, Maria Rosaria Salvi, Graziano Trobiani e Pino Rossi.
“Comincio col dire che al di là dei costi, senza dubbio molto elevati, la gara è bellissima, la macchina organizzativa che c’è dietro ad un evento sportivo tra i più importanti e seguiti, oltre che il più partecipato al mondo, è poderosa ed efficiente sotto ogni punto di vista e prendervi parte è un’esperienza davvero unica. Ci sono tuttavia alcuni aspetti negativi, che è bene tener presente, in modo tale da essere preparati non solo dal punto di vista dell’allenamento. Per chi come noi ha scelto un albergo in zona arrivo la giornata comincia davvero molto presto: colazione alle 5:00, le navette partono non più tardi delle 6:00 e l’attesa a Staten Island, oltre il ponte di Verrazzano è lunghissima e snervante. Il percorso è davvero molto impegnativo e in questa edizione a complicare ulteriormente le cose, oltre al freddo, prevedibile da queste parti in questo periodo dell’anno, ci si è messo pure un vento fortissimo, che soffiava ad oltre 70 km/h e che ha messo a dura prova la macchina organizzativa della gara oltre che la protezione civile della città (alberi sradicati, tetti scoperchiati, alcune case del quartiere di Brooklyn evacuate precauzionalmente).
La partenza, data con un colpo di cannone, sulle note di “New York, New York”, è emozionante ma anche una vera e propria liberazione. Si parte in salita, da tre punti diversi e a onde ben distanziate l’una dall’altra. La strada è molto ampia e si corre bene fin dall’inizio, con il vento forte però, che taglia trasversalmente il ponte, sono in diversi a cadere. I runner provengono da tutte le parti del mondo e non mancano quelli vestiti in maniera stravagante e bizzarra o che affrontano la maratona palleggiando o facendo i giocolieri.
Il lungo rettilineo che attraversa il quartiere di Brooklyn, lungo la quarta strada, consente di recuperare un po’ di forze in vista della seconda metà della gara, ma è già una festa: gruppi rock, bande musicali, cori, persino dei cantanti rap, accompagnano i podisti tra due ali di folla che non smette mai di incoraggiarli.
Il Pulaski Bridge, subito dopo il passaggio alla mezza, che ci porta al Queens, è il primo momento di relativo silenzio, ma a mettere a dura prova i podisti sarà quello successivo, pochi km dopo: l’interminabile Queensboro Bridge, che segna l’ingresso a Manhattan. Ad accoglierci alla fine del ponte c’è un vero e proprio muro umano, l’incitamento è quasi assordante.
Risaliamo lungo la prima strada e dopo un rapido passaggio nel Bronx torniamo verso l’agognato Central Park lungo la quinta.
L’ingresso nel parco è spettacolare, sulle ultime salite chi era già in difficoltà alza definitivamente bandiera bianca e si rassegna ad arrivare lentamente al traguardo camminando, perché di ritirarsi a quel punto non se ne parla nemmeno, naturalmente.
Finalmente il traguardo e l’ambita quanto meritata medaglia: chi ha scelto di non lasciare la propria sacca alla partenza esce quasi subito, a noi invece tocca ancora un lungo tratto da fare per poterla recuperare ed un altro ancora per poter finalmente uscire.
Nei giorni successivi, girando per la città con le medaglie al collo o anche solo con la bella maglia tecnica del pacco gara, riceviamo complimenti ovunque.
Torniamo in Italia ancora euforici, appagati da un’esperienza di vita che va ben oltre la corsa e lo sport”.