Deriva dal Nuovo Continente l’idea di “comfort food” cioè di cibo che conforta: sono quegli alimenti che aiutano il cervello a farci sentire più sereni e appagati. Se fino a qualche anno fa infatti si pensava che il cervello fosse immune dagli effetti della dieta, oggi si è scoperto che determinati squilibri nutrizionali possono provocare tristezza e sbalzi di umore. Le componenti psicologiche della fame nervosa mascherano spesso carenze nutrizionali, alterazioni di ormoni e neurotrasmettitori. Nel caso degli attacchi compulsivi verso certi alimenti, di solito i carboidrati, interviene una componente psicologica: mangiamo per compensazione emotiva quando abbiamo a che fare con emozioni come la rabbia, l’ansia, la frustrazione e la solitudine, e relazioni che non sappiamo gestire. Il valore consolatorio dei cibi deriva dall’infanzia, quando la madre offre il seno al bambino ogni volta che piange confondendo la necessità di cibo con quella d’affetto. Quando capita spesso c’è da chiedersi, però, se la fame nervosa non nasconda anche un modo sbagliato di alimentarsi per cui, in assenza o carenza di alcuni nutrienti nella dieta, il corpo se li procura facendoci venire la voglia di mangiare certi alimenti che li contengono.
Pierre Chandon e i suoi colleghi dell’Istituto di Marketing dell’INSEAD di Fontainebleau, Parigi, hanno preso in esame i dati raccolti su un campione di tifosi. In totale, hanno partecipato all’indagine 726 persone. I partecipanti allo studio sono stati interrogati circa le loro abitudini alimentari settimanali: il risultato è stato che le maggiori differenze tra i fan delle due squadre (la vincente e la perdente), erano visibili il lunedì successivo all’incontro sportivo. Lo studio ha evidenziato una netta differenza nel consumo di grassi: i tifosi della squadra che aveva perso, aumentavano il quantitativo di grassi del 28%, mentre gli altri solo del 16%. Risultati molto simili sono stati ottenuti su un gruppo di un’ottantina di francesi, cui è stato chiesto di registrare le vittorie e le sconfitte della squadra del cuore o dell’atleta preferito. Al gruppo è stato chiesto di attingere, durante le gare, a recipienti dove erano contenuti patatine fritte, cioccolato, uva o ciliegie. Anche in questo caso i fan della squadra o dell’atleta perdente hanno preferito gli alimenti meno sani, mentre gli altri hanno preferito uva e ciliegie. Analoghi parallelismi sono stati fatti collegando le sconfitte sportive con l’aumento di violenza nelle strade, il consumo di alcol, gli attacchi cardiaci ed altro. In generale chi perde prova un senso di frustrazione e di insicurezza che tende a superare adottando un comportamento vietato. Al contrario, chi ha la soddisfazione di veder vincere la propria squadra, tende a sentirsi più fiducioso nelle proprie forze, a incrementare l’autostima e ad avere un maggiore autocontrollo, anche sul comportamento alimentare, riuscendo a resistere meglio alle tentazioni. Ognuno di noi ha un piatto su cui buttarsi, innescando un rapporto intimo e diretto con quell’alimento: quasi come un partner segreto a cui affidiamo le nostre pene, le nostre stanchezze e le nostre piccole delusioni. E lui, fidato compagno, non ci tradisce mai, puntualmente pronto negli anni a rinfrancarci.
Dott.ssa Chiara Cevoli
Biologo Nutrizionista
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