Il luppolo potrebbe essere utilizzato nella produzione di nuovi farmaci per combattere malattie come il diabete e alcuni tipi di cancro
La birra è una delle più diffuse e più antiche bevande alcoliche del mondo. Per produrla, il malto viene immerso in acqua calda, dove – grazie all’azione di alcuni enzimi presenti nel malto stesso e dovuti alla germinazione – gli amidi presenti vengono convertiti in zuccheri fermentabili. Questo mosto zuccheroso può essere aromatizzato con erbe aromatiche, frutta o più comunemente con il luppolo. Proprio quest’ultimo ingrediente, secondo un recente studio effettuato dall’Università di Washington, potrebbe aiutare la medicina nella lotta contro alcune delle malattie più gravi del momento. La speranza risiede negli alfa-acidi, più comunemente chiamati umuloni, che sono contenuti per natura nel luppolo.
Obiettivo dello studio – coordinato dal professor Werner Kaminsky dell’Università di Washington e pubblicato sulla rivista Angewandte Chemie International Edition – era capire come queste sostanze funzionassero durante il processo di fermentazione del luppolo che si trova nella birra e quale fosse la loro reazione a contatto con altre. Tale scoperta potrebbe aprire nuovi orizzonti nel campo della medicina, grazie all’utilizzo che si può fare di queste sostanze per la cura di certe gravi patologie. Già tempo fa, uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova e del dipartimento di Scienze biologiche dell’Università dell’Insubria aveva stabilito come la bevanda alcolica più famosa al mondo potesse essere importante per la prevenzione di patologie vascolari e di tumori. Nonostante ciò, adesso non si può pensare di poter abusare della birra solo per fini preventivi o per contrastare cancro e diabete.
Nello studio italiano, in particolare, si attribuiva un particolare potere preventivo nei confronti di alcune malattie allo Xantumolo, un flavonoide scoperto diversi anni fa da alcuni studiosi dell’Oregon State University e contenuto nella birra. Tale sostanza naturale agirebbe in diversi modi. Da un lato sarebbe in grado di attivare dei particolari tipi di enzimi capaci di azionare il meccanismo carcinogenetico, dall’altra parte indurrebbe l’azione di un altro enzima coinvolto nei processi di detossificazione delle cellule. Stabilito pertanto quali siano le molecole giuste, in base alla loro disposizione, si potrà quindi pensare alla creazione di nuovi farmaci che sfruttino queste loro potenzialità.
Maurizio Bruera