Il corpo umano è ben concepito, è fatto per funzionare bene, ed è anche estremamente resistente agli “insulti” ed agli stress. Un buon brevetto, tutto sommato!
Riusciamo, in altre parole, a riparare da noi la maggior parte dei problemi che ci càpitano… Va da sé che se subiamo meno stress spenderemo anche meno in sforzi compensativi ed attività riparative. E comunque meglio unaottima condizione di salute che una buona condizione di salute, no? 🙂
La fisiologia, la fisiatria e l’ergonomia ci spiegano come fare bene i movimenti. Lo scopo è di essere efficaci (fare bene le cose), non stancarsi e non subire stress.
Per qualche giorno ci occuperemo di qualcuno di questi aspetti nella corsa.
L’APPOGGIO DEL PIEDE
In una persona le cui ginocchia presentino un certo grado di valgismo (che cioè tendano un po’ “in dentro”) e i cui piedi al contempo puntino un po’ in fuori, ogni volta che il peso del corpo grava sul piede l’articolazione del ginocchio viene sollecitata verso l’interno come un arco che venga flesso (provate a riprodurre o immaginare la posizione): un compito non previsto, che crea sollecitazioni che sarebbe meglio non dare troppo spesso.
Una persona dotata di queste caratteristiche dovrebbe innanzitutto lavorare sull’estetica e la morbidezza del gesto, comprendendo il modo più bello e giusto nel suo contatto col terreno; dovrebbe tonificare i muscoli attorno alle ginocchia ed alle caviglie, facendo esercizi compensatori. Fatevi guidare e consigliare da un (vero) esperto.
In generale, il piede non dovrebbe puntare eccessivamente all’infuori: ci sarebbe comunque un carico anomalo sul ginocchio, anche se non ci fosse valgismo. Attenzione però a non forzare la postura del piede: se punta un po’ all’esterno, costringersi a tenere i piedi dritti e cominciare subito a correre probabilmente sforzerà articolazioni e legamenti. Criterio, dunque, e messa a punto preventiva.
Un altro errore nell’appoggio del piede in corsa è il tipico atterraggio di tallone, con la gamba quasi tesa al ginocchio.
Attenzione, “correre sulle punte” è un consiglio che per fortuna non si dà più dagli anni ’70 (in realtà si intendeva “poggiando il solo avampiede”)! Più piano si corre, più il movimento giusto del piede è una rollata morbida che prende tutta la pianta, dal tallone all’avampiede; questo però non significa piantarsi col tallone per terra, e purtroppo le nuove scarpe da corsa (che compensano molti errori) non inducono ad acquisire un gesto bello e fisiologico.
Fate questa prova: scalzi, solo coi calzerotti, correte per qualche metro nel corridoio di casa: se sentite distintamente il tonfo dei talloni che sbattono sul pavimento, dovreste lavorare sulla tecnica.
Un ultimo aspetto di cui ci occupiamo oggi è la passività del piede: prima di correre per molti chilometri alla settimana dovreste accertarvi che il piede non sia mai un elemento passivo, un tramite quasi inerte tra gamba e terreno: il piede accoglie dinamicamente il terreno, lo gestisce, si carica quando il corpo gli passa sopra e si estende attivamente per spingere il corpo in avanti. Questa estensione è più limitata quando si corre a più bassa velocità.
Per raggiungere questa qualità di gesto è utile acquisire sensibilità sui movimenti del piede, rafforzare i muscoli del polpaccio ed allenarli con lo stretching, e correre scalzi sulla sabbia facendo attenzione all’azione dei piedi.
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