In fondo al mar… in modo sicuro!

Un nuovo dispositivo di sicurezza per il lavoro degli operatori tecnici subacquei ad opera dell’’Ifc-Cnr

Lavoratori sotto “pressione”. Esistono persone che svolgono la loro professione in ambienti ostili alla sopravvivenza umana, protetti solo da una tuta ed un casco attraverso i quali viene fornita l’aria respirabile, il calore e la luce. Stiamo parlando degli astronauti? per una volta no: anche gli Operatori tecnici subacquei lavorando in condizioni simili e eseguono interventi fino a 300 metri di profondità sul fondale marino collegati all’imbarcazione di appoggio solo tramite un cavo, l’ombelicale.

Ideato un nuovo dispostivo di emergenza per garantire maggiore sicurezza agli Operatori tecnici subacquei. Il dispositivo è ad opera dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr), in collaborazione con la Compagnia nazionale sommozzatori, Cns international (società italiana di Avenza leader nel settore del Commercial Diving). “A causa delle grandi profondità alle quali si devono eseguire gli interventi, il battello che dirige le operazioni e che fornisce, attraverso l’ombelicale, all’operatore l’energia elettrica, il gas respirabile e l’acqua calda all’interno della tuta, necessari per poter lavorare al buio e alle basse temperature del fondale marino, non può ancorarsi e mantiene fissa la propria posizione tramite un collegamento satellitare”, spiega Remo Bedini dell’Ifc-Cnr. “Se l’imbarcazione perde il controllo anche solo per poco tempo, trascina con sé il palombaro. Questa eventualità è molto pericolosa, a volte fatale, sia per l’improvviso innalzamento di quota, che può causare gravi disturbi legati alla rapida decompressione, sia per la possibilità che l’Operatore venga scaraventato contro le strutture subacquee dell’impianto o per il rischio che l’ombelicale si strappi. Per questo motivo gli scienziati hanno ideato un connettore, oggetto del brevetto, formato da due conchiglie metalliche che ospitano i contatti idraulici ed elettrici, da posizionare sul cavo in prossimità dell’operatore.

Per la messa a punto del progetto-afferma il ricercatore-sono serviti due anni di collaborazione con i professionisti del settore, oltre all’esperienza del master universitario in medicina subacquea ed iperbarica dell’Ifc-Cnr e dell’Istituto di scienze della vita della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Il risultato raggiunto è un esempio tangibile di cooperazione produttiva tra ricerca pubblica e industria italiana. È stato infatti fondamentale il contributo di altre due ditte: la Rana Diving di Ravenna e Dive System di Massa Marittima”. Prima di poter procedere all’utilizzo effettivo del dispositivo sarà necessario attendere del tempo. “L’impiego del connettore dovrà essere associato a una cellula di salvamento subacquea, ancora in fase di messa a punto e oggetto del prossimo brevetto. Ancorata in prossimità dell’area di lavoro sin dall’inizio delle operazioni, sarà indipendente dalla nave d’appoggio e fornirà al sommozzatore che abbia avuto la necessità di scollegarsi dall’ombelicale, collegamento audio, miscela di gas da respirare per circa due ore di sopravvivenza e pallone in asciutto per il riscaldamento in attesa dei soccorsi”, conclude Bedini.

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