I dati forniti dal reparto di Broncopneumologia dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma parlano chiaro: 1 bambino su 5 tra quanti lamentano tosse, broncospasmo e difficoltà respiratorie, è vittima del fumo passivo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel mondo, nell’ambiente circa 1,2 miliardi di fumatori adulti producono il cosiddetto “fumo di seconda mano”, al quale sono continuamente esposti i bambini.
Le statistiche fanno emergere cifre preoccupanti: il 52% dei bambini al secondo anno di vita respira quotidianamente fumo passivo, e almeno il 38% ha un genitore che fuma in casa. Il 49% dei neonati in Italia ha almeno un genitore fumatore, mentre il 12% è figlio di una coppia di fumatori.
Dunque, circa 1 neonato su 5 ha la mamma fumatrice. Aprendo una parentesi sul fumo attivo, sappiamo che è più frequente tra gli uomini: il 6% inizia a 14 anni, mentre il 3,7% delle donne prende il vizio così precocemente. Il direttore dell’Unità di Broncopneumologia del Bambin Gesù, il Professor Renato Cutrera, ha fornito poi la definizione di “fumo di terza mano” fornendo l’esempio lampante della mamma che fuma sul balcone per non inondare l’ambiente domestico, e rientra con gli abiti impregnati di fumo: quando prende in braccio il bambino, gli fa respirare sostanze tossiche assorbite dagli indumenti.
Sono ormai innumerevoli le raccomandazioni dei medici riguardo al fumo in gravidanza: i bambini nascono con un peso minore e più predisposti al rischio della SIDS (Sudden Infant Death Syndrome), conosciuta come “la morte in culla”, ovvero la morte improvvisa entro l’anno di vita senza cause accertate. Riducendo l’esposizione al fumo, le morti in culla diminuirebbero di un terzo.
Melissa Bucossi