La natura è il vero monumento di questi luoghi: le barriere coralline, le file di palme che si piegano al vento, le cascate, le foreste e le balene che si avvistano in lontananza sostituiscono le opere che in altri Paesi costituiscono una grande attrazione. La penisola di Samanà è collocata a nord-est della Repubblica Dominicana. È una striscia di terra che quasi si stacca dal resto del Paese e si protende verso l’Oceano Atlantico. Lontana dai luoghi del turismo dei grandi numeri, nell’area è la foresta tropicale a dominare lo scenario e a catturare l’occhio. Da pochi anni la regione è collegata al resto dell’isola da un’autostrada che permette di arrivare in poco meno di tre ore dalla capitale Santo Domingo. A Samanà si trovano facilmente i lidi che colpiscono il nostro immaginario, tra cui si può citare playa Rincon per essere inserita nella lista del National Geographic delle cinque spiagge più belle dei Caraibi, anche se altri luoghi risultano altrettanto suggestivi e interessanti. Tra questi playa del Valle: situata in un villaggio di pescatori raggiungibile dopo un percorso impervio, l’ampia spiaggia è racchiusa tra due montagne che nascondono agli sguardi del mondo la piccola comunità costiera.
La natura è il vero monumento di questi luoghi: le barriere coralline, le file di palme che si piegano al vento, le cascate, le foreste e le balene che si avvistano in lontananza sostituiscono le opere che in altri Paesi costituiscono una grande attrazione. Gli abitanti locali non sono originari dell’isola, sono i discendenti degli schiavi africani che gli spagnoli hanno portato a Santo Domingo dopo aver sterminato gli indios Taino. La loro storia è segnata dallo sfruttamento del colonialismo spagnolo prima e degli interessi americani dopo. Questi ultimi instaurarono nella prima metà del novecento una dittatura con a capo Rafael Leonidas Trujillo, rimasto in carica fino al 1961. Oggi la Repubblica Dominicana con capitale Santo Domingo è una democrazia che sta cercando una strada verso lo sviluppo, in cui il 41% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. La gente vive alla giornata, si adatta come può. Se si prova a salire sulle “guagua”, i pulmini aperti nel retro che rappresentano l’efficiente servizio di trasporto pubblico, si può vedere uno spaccato del Paese. Mentre ai lati scorrono le casette colorate di blu o di rosa e bianco, con le persone sedute placide nelle verande, si possono incontrare le grasse signore di ritorno dalla giornata al mercato, la commessa che ogni giorno supera le montagne per lavorare nel negozietto di telefonia, l’autista che pensa ai suoi parenti in Europa, senza sapere bene dove questa sia… Nei comedores, piccole trattorie dove si mangia con 100 pesos (due euro), si può avere un assaggio della cucina dominicana. Come molte diete dei caraibi l’alimento base è il riso, che nelle case viene cotto con l’aiuto di buste di plastica; ad accompagnare ci sono di solito i fagioli. Anche il pollo ha un ruolo importante nell’alimentazione locale, cucinato con diverse salse o in una zuppa chiamata “sancocho”. La socievolezza e la grande informalità che si respirano, accompagnati dalle onnipresenti merengue, bachata e raggaeton, hanno irretito molti stranieri che si sono fermati sull’isola, scegliendo anche di convivere con il pregiudizio del “gringo” bianco con i soldi – e quindi da sfruttare. Molti hanno aperto un’attività e hanno trovato una nuova dimensione che li soddisfa maggiormente, altri si sono semplicemente persi dietro a donne (o uomini), droghe o gioco d’azzardo e hanno perso tutto, compresi gli affetti che sono poi tornati al luogo d’origine. Ognuno ha la sua storia da raccontare e sembra che per loro il tempo si sia fermato lì, in una giornata qualunque delle Antille.
Alcune avvertenze alimentari.
Da giugno fino ad agosto non mangiate questi pesci: picua, colirubia, medreguai, paigo, osama, urei. In questi mesi dell’anno, infatti, queste specie scendono nei fondali dell’Oceano per cibarsi di un’alga pericolosa per l’uomo. L’effetto può essere una coagulazione tale da rendere il sangue così denso da portare alla morte.
Tra aprile e giugno inoltre è proibito pescare l’aragosta, in quanto è il periodo della riproduzione. Pescatori e ristoranti la offriranno, ma rifiutate: non rendiamoci complici della decimazione in atto di una specie e del danneggiamento di uno splendido ecosistema.
Servizio a cura di Alessandro Mangoni
Foto di Alessandro Mangoni e Andrea Zinicola