C’è una città sorta nei pressi di un’oasi ricca di ulivi e palme, al limitare della steppa, nel deserto siriaco. Una città fondata oltre tremila anni fa, dove si è parlato greco, latino e poi arabo. Una città governata da regine velate e imperatori romani. Palmira – questo è il suo nome – si trova al centro del deserto siriano, uno strano deserto di sabbia mista a pietra, dove le infiltrazioni dell’acqua che scorre nel sottosuolo danno vita a laghi argentati nei quali di notte si specchia la luna.
Palmira fu abitata fin dal neolitico, come testimoniano alcuni reperti archeologici e il nome Talmur che, originario del centro abitato, oggi identifica l’oasi e il villaggio moderno. Prese il nome attuale – che richiama le foglie dei palmizi caratteristici di quella zona – nel IV secolo a.C. quando passò sotto il dominio ellenistico. La sua posizione la fece diventare ben presto una stazione di sosta per le carovane che provenivano dalla Mesopotamia, dall’India e dalla Cina, fatto che non sfuggì a Roma quando allargò il suo dominio al medio oriente.
Divenne provincia romana sotto l’imperatore Tiberio (14 – 37 d.C.) e qui conobbe il suo periodo d’oro: estese infatti le sue aree di influenza su nuove e redditizie vie commerciali diventando padrona delle strade più importanti d’Oriente e città sempre più ricca. Sotto l’impero romano, Palmira conobbe anche un maestoso sviluppo architettonico. Ne è un esempio la via colonnata – vera arteria della città – lunga oltre un chilometro e larga undici metri, fiancheggiata da portici su cui si affacciavano le botteghe. Sostando sotto l’arco di trionfo che separa l’ingresso della città dal maestoso tempio di Baal, si ha l’impressione di essere ancora là, come duemila anni fa. La stessa sensazione di magnificenza, la stessa sabbia che si alza in mulinelli, i ragazzini in sella a cammelli che vendono cimeli di dubbia provenienza beduina, una folla di turisti e il perfetto stato di conservazione del sito – cosa che tanto manca in Italia, specialmente a Roma.
Lungo la via colonnata si trovano i più bei monumenti della città: l’agorà con le indicazioni per il commercio scritte in un greco abbastanza sgrammaticato e tradotte in palmireno (lingua originaria che sopravvisse e quasi soppiantò nell’uso corrente il latino), il tetrapilo e il teatro liberato dalla sabbia e dall’oblio solo cinquant’anni fa e quindi con gradinate e scena perfettamente conservate. All’estremità della via si trova il tempio di Baal, il Giove dei palmireni. Lo circonda un muro di cinta rimasto intatto grazie all’intervento degli arabi che nel XII adattarono il luogo sacro a fortezza. Al muro si affiancava un doppio colonnato di cui rimangono poche tracce e all’interno del peribolo si erge la cella destinata al culto dove potevano accedere solo i sacerdoti. Dai bassorilievi del tempio di Baal è possibile cogliere la fusione dei temi e della tradizioni greco-romana e di quella medio orientale.
La fine di Palmira, coperta dalla sabbia del deserto, si fa risalire ad una donna: la regina Zenobia. Salita al trono nel 266 d.C., Zenobia si proclamò “augusta” e assalì con le sue truppe il debole esercito dell’impero romano di stanza in Siria, in Egitto e in Anatolia. Aureliano però riuscì a domare le truppe della regina, trasportandola poi a Roma come trofeo. Zenobia capì che il suo posto non era più a Palmira e, una volta liberata, sposò un senatore romano e si stabilì a Tibur (l’attuale Tivoli). Il popolo palmireno rimase così allo sbando e tentò di ribellarsi all’invasore romano che aveva rapito la loro regina. L’insurrezione fu ferocemente repressa da Aureliano, l’esercito ribelle fu massacrato, contadini vecchi e bambini furono uccisi e la città distrutta.
Questa fu la fine di Palmira, rianimata per qualche anno (intorno al 650 d.C.) dai califfi arabo-mussulmani, fu poi definitivamente rasa al suolo da un fortissimo terremoto.
Cinque strati di sabbia, palme e ulivi per secoli hanno coperto lo splendore di Palmira, riemersa oggi grazie agli scavi archeologici e divenuta bandiera del turismo Siriano che si va aprendo oggi all’occidente.
Rimasta chiusa in sé stessa e vittima di innumerevoli invasioni (dai romani, agli ottomani, ai francesi nel dopoguerra), la Siria vanta oggi un notevole e vario patrimonio artistico-culturale, nonché gioca un ruolo chiave nello scacchiere geopolitico del medio oriente. I rapporti con Israele sono difficili, tanto che se si ha sul passaporto il timbro israeliano non si può accedere in Siria nemmeno da turisti, e altrettanto lo sono quelli con gli Stati Uniti (George W. Bush inserì la Siria tra i cosiddetti “paesi canaglia”). D’altra parte c’è una forte voglia di apertura verso l’Europa, terra di libertà e ricchezza. Il fermento occidentalistico sta dilagando soprattutto tra le donne che sempre più si tolgono il velo e mostrano senza preoccupazione i loro occhi neri.
Laura Riccobono