Sui banchi di scuola nella penisola di Samanà.
Viaggio nel mondo della Repubblica Dominicana per conoscere i giovani e i loro sogni. Las Galeras è un villaggio che si trova all’estremità orientale della penisola di Samanà. Arrivarci è semplice: basta seguire la strada fin quando questa si ferma davanti al mare. La zona è destinata ad un grande sviluppo turistico, ma nell’area il 60% degli abitanti non ha portato a termine la formazione primaria. Poco prima dell’abitato c’è la scuola, formata da due edifici gialli lunghi e bassi, con dietro un campo da basket per la ricreazione che incontriamo deserto, si sente il vociare dei ragazzi nelle classi. Alle otto del mattino già sono tutti in fila per il saluto della bandiera, già pronti nelle loro uniformi azzurre. In questo edificio studiano circa 700 bambini tra i 5 e i 16 anni; 70 di questi frequentano la “prescolar”, ossia il nostro asilo, mentre gli altri sono nelle classi tra la prima e l’ottava – corrispondente alla nostra terza media. La maggior parte di loro non ci sono quando visitiamo la scuola: il giorno prima una forte pioggia ha bloccato le strade e ha reso impossibile alla maggior parte dei bambini venire a lezione. Le maestre invece come ogni mattina arrivano dal capoluogo dopo un viaggio di quasi un’ora lungo una strada dissestata. Tra i piccoli della “prescolar” c’è un bambino biondo che si chiama Nino e che la maestra ci indica come “italiano”; in realtà è figlio di una coppia del nord Europa. I suoi tratti spiccano tra quelli dei suoi compagni, ma è l’unica cosa che lo differenzia. Nino parla spagnolo con inconfondibile accento dominicano e lo si può vedere giocare per le strade con gli stessi bambini con cui passa ore in classe. “Diamo loro le basi per poi proseguire le elementari senza problemi” spiega una maestra, che insegna ai suoi alunni a colorare, disegnare, dà loro i primi elementi di scrittura. Un bambino mi fa vedere come quel giorno ha imparato a scrivere la “a”. In un angolo ci sono i giocattoli: una televisione di plastica e alcuni pupazzi di pezza. Una volta finita la “prescolar” c’è la “basica” – ossia le elementari – che dura otto anni e prevede l’insegnamento di scienze, spagnolo, storia, matematica, educazione civica, artistica e fisica. Osserviamo inoltre che sin dal primo anno si studiano due lingue, inglese e francese anche se, a giudicare le domande che rivolgono in inglese alcuni ragazzi della terza, non sembrano in grado di reggere una conversazione basica; tuttavia non demordono: vogliono essere in grado di dire in inglese “sei bellissima” e “ti amo”.
C’è inoltre una materia che si chiama formazione interiore, umana e religiosa. L’insegnante assicura che non si tratta di alcun tipo di indottrinamento religioso; tuttavia alla domanda “qual è l’origine del male?” salta qualsiasi speculazione filosofica per andare dritta alla risposta: “la disobbedienza dell’uomo a Dio”. Lo afferma con una certezza che esclude ogni discussione. Riguardo alle aspirazioni dei giovani, i ragazzi dell’ottava hanno già le idee chiare su quello che vogliono fare da grandi: vogliono essere ingegneri, avvocati; non manca il cantante o il giocatore di baseball – sport popolare quanto il calcio in Italia. Le ragazze danno invece quasi tutte la stessa risposta: segretaria. Intanto continuano a seguire le lezioni. Avranno un cambio di aula all’ora di pranzo – durante la quale viene distribuito del latte ai più poveri – e continueranno fino alle cinque e un quarto, ora in cui usciranno per le strade riempiendole con le loro risate e le loro divise azzurre.
Alessandro Mangoni